V Video

R Recensione

6,5/10

Destroy All Gondolas

Laguna Di Satana

Non capivo come fosse possibile che l’artefice di un disco come “Pet Sounds” fosse stato reso schiavo per decenni dalla più nera e invincibile delle depressioni: poi qualcuno mi consigliò di leggere con più attenzione i testi. Il successivo incontro con gli Agent Orange mi insegnò, in maniera definitiva, che se objects in the mirror are closer than they appear, surf music isn’t half as happy as it seems, specie quando il mare (o quanto per esso) è una tavola blu e il sole brucia le cervici. Vi sfido ad andare con le pinne, fucile ed occhiali a tuffarvi con la testa all’ingiù nella laguna: non farete certo la fine del povero Mieszko Talarczyk (per quello servirebbe un meteorite), ma vi coglieranno comunque peste, colera e gli improperi di Brugnaro. San Pietroburgo, la Venezia del Nord, fu il capriccio di un autocrate illuminato, una città fantasma eretta su un luogo malsano e paludoso, che richiese un sacrificio di sangue altissimo: la Venezia originale, uscita coi dogi a riveder le stelle, collassa ora sotto il suo stesso peso, avvelenata dai miasmi del petrolchimico di Marghera e soffocata dall’amianto dei cantieri navali. Questo giusto per smantellare qualche pericoloso luogo comune su o’ sole e o’ mare, nonché per preparare al meglio l’oggetto della discussione vera e propria.

A proposito di geografia e di nautica: cazzando la gomena di turno, sull’onda dell’ottimismo i Destroy All Gondolas si autocollocano in un non luogo che naviga tra Link Wray, Black Sabbath, Mayhem e Johnny Thunders (suscitando, com’è comprensibile, reazioni di naturale stupore). La cosa davvero divertente, comunque, è che non hanno tutti i torti. Giratele come volete, ma le ripartenze brucianti di “Demonolatreia” non possono non far pensare agli Slayer che deflorano i Del-Tones. Allo stesso modo, “Apocalypse Domani” prende gli Smart Cops, li droga di riverbero e li costringe a correre al triplo della velocità. Non solo: “Nutria” sveglia a ceffoni Chuck Berry dal sonno eterno solo per fargli sentire come suonerebbe un blues dei suoi rallentato in andature elefantiache (si chiama sludge, Chuck, come il pantano di Pietroburgo) o sparato su traiettorie supersoniche (sì, in un certo senso è punk, Chuck). Gondolas B. Goode: anche quando si va un po’ troppo vicini alle proprie fonti di ispirazione (il riff di “Alchemist” è inconfondibile: meglio la seconda parte, caracollante e ciclopica) o quando si lascia volutamente a casa la componente hardcore (il punkabilly maleducato ma prescindibile di “Can’t Swing”, il garage fracassone di “Speed Wolf”).

Non ci si inventa proprio niente, insomma, ma il piedino batte a tempo e la testa ondeggia di conseguenza. Qualche ragazzina potrà pure cadere lungo il percorso, accalappiata dagli arpeggi su pentatonica di “Penetration” come lo fu la Mia Wallace di “You Never Can Tell”. Pensare che tutto nacque come tributo ai Black Flag: dannata laguna di Satana!

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.