R Recensione

10/10

Gun Club

Fire Of Love

Jeffrey Lee Pierce è stato un personaggio anomalo e, per certi versi, improponibile. Uno a cui la vita stava troppo stretta e nell’arte c’affogava dentro. Una contraddizione vivente. Uno che indossava un crocifisso sopra una collanina voodoo, che con la stessa sprezzante naturalezza s’infilava un paio di stivali e un cappotto di plastica bianca, che in piene febbre del punk, sulla fanzine più integralista di L.A., inchiostrava pagine e pagine parlando esclusivamente di rockabilly degli anni ’50 e blues degli anni ’30.Uno che si professava nichilista e poi come niente fosse presiedeva il fan club dei Blondie (!?). Uno che s’inventa d’acchito un chitarrista di talento (Kid “Congo” Powers) prestandogli una chitarra, un amplificatore e due dischi - uno delle Slits e uno di Bo Diddley - e poi neanche arriva ad incidere un disco che se lo fa soffiare dai Cramps.

Un depravato uscito tale e quale da un romanzo di James Ellroy (di quelli ambientati negli anni ottanta, con il detective Lloyd Hopkins, come “Le Strade dell’Innocenza” o “ Perché la notte”) o da una murder ballad di Nick Cave, non fosse che lui era già così prima che ’sti due si facessero un nome, che certe storie le ha vissute per davvero sulla sua pelle o su quella della sua arte, che poi per lui sono la stessa cosa. Uno così sfigato da non riuscire né a morire giovane, né ad essere rivalutato in vita. Uno che cavalca il suo “mucchio selvaggio” verso l’Alamo della famiglia Lomax con l’intento di raderlo al suolo una volta per sempre ed invece, di fatto, lo resuscita, piantando il seme del punk rurale e del country alternativo. E proprio su questo ennesimo, estremo fallimento ha costruito il suo inestimabile lascito, il più grande mausoleo alla sua vita e alla sua arte.

Fire Of Love è una carovana di dannati e morti viventi che, attraverso l’America profonda, si riversa nel cuore dei bassifondi metropolitani, vampirizzando il peggio di ciò che incontra lungo il cammino e imprigionando l’anima nera di un suono che, più che ibrido, è incestuoso. Un circo Barnum che esibisce gli esemplari sonici più obsoleti, deformi e mutanti dei primi anni ottanta: il teppismo urbano dell’hardcore, l’erotismo voodoo dei Cramps, le forze oscure della jungla africana, il blues demoniaco di Robert Johnson, lo swamp della Florida, la scia di murder ballads disseminate fra El Paso e Tijuana, il country tossico degli outlaw. Un oasi di ferro, fuoco e carbone che brucia la montante plastica dell’”edonismo reaganiano”, spargendo tutt’attorno il suo odore marcio e nauseabondo.

Pierce è un predicatore blasfemo, un allevatore di serpenti, un autostoppista psicopatico, dotato di un’estensione vocale ragguardevole e di svettanti qualità drammaturgiche che rivela in testi morbosi ed inquietanti, minati da ossessioni personali (il coito come congiunzione suprema di estasi e morte, l’amore sadomasochistico, l’omicidio come gesto rapsodico, catartico, rituale, quasi un’ estensione del rapporto sessuale) e infestati di richiami al passato (la junk culture degli E.C. Comics, l’immaginario archetipico e orrorifico delle urban legends, le perversioni chiaroscurali di film come “I Walked With a Zombie”); la chitarra di Ward Dotson (che sostituisce Kid) mescola i licks di Marty Robbins (Gunfighter Ballads and Trail Songs) con accordi aperti e digressioni ritmiche (ispirati ad Ornette Coleman, a sentire Pierce), declinando lo slide in un tripudio caleidoscopico di forme cinetiche; il basso di Rob Ritter e la batteria di Terry Graham scompongono la ritmica in un febbrile ed inesausto controclimax ferroviario.

Il pezzo d’apertura, Sex Beat, basterebbe già ad istoriarli nella più profonda e dissoluta Caina del rock’n’roll post moderno: un periplo di chitarra hardcore che si schiude in contrazioni, fibrillazioni, palpitazioni tantriche, vulcanizzando un inno alle pulsioni più impellenti ed elementari del corpo (“I, i know your reasons and i, i know your goals / we can fuck forever but you will never get my soul”) e al ballo sfrenato come pantomima dionisiaca e liberatoria (“The can twist and turn, they can move and burn / they can throw themselves against the wall / but they creep for what they need / and they esplode to the call”), addensando in poco più di due minuti e mezzo quasi un secolo di esorcismi armonici legati al ritmo, alla sessualità e alla morte. Poi Preaching The Blues, update in chiave voodoo-billy - tutto spasmi gutturali, ululati da coyote e fulminee ripartenze - di uno standard di Robert Johnson, sbandiera una beffarda parabola fra sacro e profano (“gonna be a baptist preacher, so i don’t have to work”).

Il country-blues beccheggiante di Promise Me, trapanato in sottofondo da un bordone di viola molto John Cale, declina i termini del patto stretto col diavolo da Pierce e soci in smerigliature poetiche degne d’un Marlowe (“Promise me, someone will promise me / stand in the dark and fight like me / through eyes like fireflies”). In She’s Like Heroin To Me, fra slide e twang mostruosamente amplificati, cassa e rullante a rotta di collo, la degradazione di Pierce, ubriaco del proprio sangue infetto, raggiunge dolorose vette d’eroismo e barlumi di allucinazione a sfondo mistico (“I’m looking up and God is saying -What are you gonna do?- / I’m looking up and i’m crying , i thought it was up to you”), impudica prolusione di lascivia e impotenza, torrenziale febbre di dipendenza/astinenza erotica ed espiatoria. Il che è quasi nulla se paragonato alla faraonica nequizia di For The Love Of Ivy, devastante come una scossa di delirium tremens, turpe scenario di una mente rosa da un viperino groviglio di tormenti pelvici (“You look just like and Elvis from hell”) e omicidi (“Gonna buy me a gun just long as my arm / kill everyone who ever done me harm”): con un Pierce/Tantalo che, fra sospiri, mugolii, singhiozzi, divampa d’amore non corrisposto per Poison Ivy Rorschach dei Cramps, minaccia di fare una strage se non potrà averla, risucchiato nei vortici infernali del suo deliquio mentre il roots-core iniziale si trasforma in un raga di concupiscenza.

Fire Spirit è un punk rock canonico e martellante, la storia di un fuorilegge che cerca una metafisica via di fuga in antichi rituali pre-colombiani, l’attrazione di una falena verso il fuoco, il bisogno di autenticità, purezza e remissione che si cela dietro le cortine solforose e le pose sabbatiche di Pierce e compagni.  Di contro Jack On Fire è la più perversa quadriglia mai concepita, il loro carnasciale più macabro e auto-compiaciuto (“When you fall in love with me / we can dig a hole by a willow tree / then i will fuck you until you die / burn you and kiss this town goodbye”). Ghost On The Highway è un bigino della loro estetica musicale che mescola il mito della mantide assassina con quello dell’autostoppista fantasma per comporre un peana devozionale alla bellezza e alla lordura, alla vita e alla morte, all’amore e al fuoco.

“Left a nigger living dead by the river / left the will-o-the wisp to roam”, The Black Train, deviante e maligno incrocio fra un blues ferroviario e uno psycho-billy pneumatico, scandito dai gorgheggi di Pierce, più yodelin’ o howlin’ che shoutin’, deterministico sferragliare di un’anima persa verso la notte più buia. Il trip pre-agonico e la reiterazione infernale di Cool Drink Of Water che mescola licantropia blues e atonalità new wave traboccando dagli argini della forma canzone. Goodbye Johnny, hard-billy il cui cantilenante mesmerismo gotico viene scolpito da possenti accelerazioni e poi lasciato ciondolare nel grande “ignoto americano”, sui binari incandescenti delle chitarre, in attesa del giudizio universale.

V Voti

Voto degli utenti: 9,1/10 in media su 27 voti.
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Cas 9/10
loson 10/10
SamJack 10/10
lev 9/10
4AS 9/10
IcnarF 10/10
maracio 10/10
hokusai 10/10
REBBY 6/10
NDP88 9/10
B-B-B 9,5/10
Lelling 9,5/10
ThirdEye 9,5/10
zagor 8/10

C Commenti

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Cas (ha votato 9 questo disco) alle 18:27 del 3 novembre 2008 ha scritto:

niente da aggiungere, un disco della madonna!

DonJunio (ha votato 9 questo disco) alle 15:35 del 5 novembre 2008 ha scritto:

Grande jeffrey, geniale stupratore della tradizionale musica americana.

loson (ha votato 10 questo disco) alle 13:51 del 17 novembre 2008 ha scritto:

Fabulous! Disco davvero della madonna (ma che lo dico a fare...) e recensione a dir poco stupenda (anche qui: ma che lo dico a fare...) ;D

SamJack (ha votato 10 questo disco) alle 11:44 del 24 dicembre 2008 ha scritto:

il mio album preferito di sempre, in assoluto......buona recensione..

SamJack (ha votato 10 questo disco) alle 11:46 del 24 dicembre 2008 ha scritto:

RE:

lev (ha votato 9 questo disco) alle 13:16 del 18 marzo 2009 ha scritto:

assolutamente, un disco della madonna!!!

4AS (ha votato 9 questo disco) alle 16:47 del 10 aprile 2009 ha scritto:

Dei pazzi scatenati...ma ce ne fossero di pazzi cosi!!!!

Gabs alle 14:19 del 15 giugno 2009 ha scritto:

kid congo powers?

Oh, finalmente, salta fuori uno come Kid Congo Powers...

Io preferisco però in contrapposizione Brian Gregory, che suonava la sua V Flying appunto come uno che non sapeva suonare, e che così (per questo) era assolutamente perfetto vicino a Poison Ivy.

Gran disco... all for the love of Ivy.

IcnarF (ha votato 10 questo disco) alle 13:56 del 24 agosto 2009 ha scritto:

Tra i primi 20 dischi del secolo.

FrancescoB (ha votato 9 questo disco) alle 13:49 del 13 ottobre 2009 ha scritto:

Ennessima, grandissima recensione di Simone. Degna di un disco magistrale, che dopo tanti anni conserva un fascino sinistro unico. Non ballare sulle note di "She's like heroin to me" è impossibile!!

Michael Stich (ha votato 9 questo disco) alle 17:26 del 28 novembre 2009 ha scritto:

Amore vero. Recensione strepitosa.

hokusai (ha votato 10 questo disco) alle 12:47 del 14 giugno 2010 ha scritto:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Hexenductionhour (ha votato 9 questo disco) alle 23:06 del 21 gennaio 2011 ha scritto:

imparata le lezione del Blues i Gun Club la assimilano e la "rigettano" fuori alla loro maniera,il Blues diventa malato,perverso e siamanico come mai lo era stato prima...la musica sembra possedere quasi un anima propria e per Jeffrey Lee Pierce è come un modo per espiare le sue frustrazioni e i suoi pensieri più profondi sostenuto da una energica sezione ritmica.

Capolavoro

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 20:43 del 6 gennaio 2019 ha scritto:

"L'altro giorno un commesso della Mondadori, che se la tirava anche un po', grida "Ma chi sono sti Gun Club? Li conosce qualcuno?" Facce smarrite dei colleghi. "Fanno hard rock? Secondo me fanno hard rock, dai, li metto lì"....raccontata da uno storico recensore di Rumore, illuminante.