Mastodon
Crack The Skye
Se il progressive metal dei nostri giorni gode ancora di una buona salute, il 60-70% del merito è da attribuirsi ai Mastodon. Ben poche sono le formazioni, esclusi loro, che riescono a portare avanti il genere in maniera dignitosa: i Dream Theater hanno finito le loro cartucce migliori da svariato tempo, ed ora non fanno altro che ripetere lo stesso disco ogni 2 anni infarcito di virtuosismi vuoti ed obsoleti che ormai non impressionano più nessuno, mentre i Symphony X sono scomparsi dopo il capolavoro The Odyssey (risalente al 2002) per tornare ben 5 anni dopo con il modesto Paradise Lost che ha tradito le aspettative di molti fans. E come loro, anche altri pilastri del genere come Angra e Pain Of Salvation hanno sostanzialmente deluso con le loro ultime prove in studio.
Il gruppo di Atlanta, per nostra fortuna, sfugge a questa tendenza negativa, e continua a sfornare dischi uno più bello dellaltro senza degradarsi con il passare del tempo. È anche vero che la loro grandezza è dovuta al fatto che si tratta di una band relativamente ancora giovane se confrontata ai pilastri sopracitati e, comè noto, lispirazione e le idee migliori si ritrovano in genere nei primi anni della carriera di una qualsiasi formazione. Ma è innegabile che il valore dei Mastodon sia altissimo in ogni caso, in quanto stiamo parlando di musicisti con alle spalle già diversi anni desperienza che finalmente stanno dando i loro frutti.
Crack The Skye rappresenta il quarto capitolo della loro avventura e chiude il primo ciclo della loro carriera, iniziato nel 2002 con Remission. Abbandonate le influenze sludge e noise dei primi due ottimi album, i nostri tirano avanti per la direzione intrapresa nel precedente Blood Mountain, verso un approccio più prettamente heavy metal, spogliato da tutti gli influssi core che vanno tanto di moda in questi anni. Meno schizzato ed intricato rispetto alla precedente prova, più equilibrato tra rocciose cavalcate epiche e momenti più riflessivi e ragionati, Crack The Skye è impregnato fino al midollo di unatmosfera sognante, tipicamente seventies, e le influenze di mostri sacri come Pink Floyd, King Crimson e Genesis si fanno sentire in lungo e in largo tra i solchi di questo album.
Lopera è divisa in 7 parti, per una durata complessiva di 50 minuti, durante i quali ritroviamo tutti gli ingredienti che hanno fatto grande il suono della band. I riff ariosi e psichedelici delliniziale Oblivion sono la perfetta introduzione allalbum: unatmosfera sospesa che cresce progressivamente dintensità ed emozione, una canzone sorprendente per feeling e fantasia compositiva che farà gioire tutti i fans della band. Divinations (per il quale è stato girato un video) è unepica cavalcata heavy che ci riporta dritti alle atmosfere del più recente Blood Mountain, la traccia più corta del disco e probabilmente la più schizzata e ritmata dellintero lavoro.
Le successive Quintessence e The Czar sono semplicemente indescrivibili a parole: sono lunghe composizioni (rispettivamente di 6 e 9 minuti) caratterizzate da continui cambi di ritmo ed atmosfera, un susseguirsi continuo di esplosioni di aggressività primordiale e di atmosfere sospese e delicate, oniriche e psichedeliche. Un saliscendi continuo di emozioni, di sbalzi emotivi, che se al primo impatto sorprende, con il proseguire degli ascolti impressiona.
Lutilizzo delle vocals pulite è molto più accentuato rispetto al passato, accantonando in parte lo screaming a cui i Mastodon ci avevano abituato nei dischi precedenti. Nella title-track troviamo invece un perfetto equilibrio tra il cantato melodico e le urla ferine di Scott Kelly dei Neurosis (qui in veste di special guest), ma non solo: nel lungo stacco psichedelico a metà brano fa capolino una voce robotica e fredda, tanto cara ai Cynic dellindiscusso capolavoro Focus, pilastro del death progressivo davanguardia.
Chiudono lalbum i 13 minuti di The Last Baron, che si può considerare la summa dellintero lavoro: una suite maestosa degna del miglior progressive che si sia sentito negli ultimi tempi, roba che i tanto blasonati Dream Theater possono tranquillamente comporre nei loro sogni migliori. Impossibile spiegare a parole questa traccia, si rischierebbe di sminuirla anche solo con una breve descrizione di quello che ci si trova dentro: tutto quello che bisogna fare per avere unidea di cosa stiamo parlando è ascoltare e lasciarsi trasportare dal flusso continuo di note che arriva dritto al cuore, prima ancora che giunga al cervello per poter essere assimilato. In verità, è quasi del tutto inutile sezionare lopera intera nei suoi singoli passaggi e particolari, sarebbe un lavoro inutile e interminabile. Crack The Skye è un disco profondo e di spessore, che va ascoltato più volte per coglierlo nella sua interezza, per percepire colori e sensazioni sempre nuove, in modo da aprire un varco nel cielo (come suggerisce il titolo dellalbum) per iniziare un viaggio fantastico dal quale non si vorrà tornare più indietro.
Un ritorno in grande stile, quindi, per una band che ha ancora molto da dire, e speriamo che continuino così. Ma per ora, godiamoci questo Crack The Skye, che si candida a titolo di disco dellanno in attesa di altri eventuali comeback.
Tweet