Metallica
Master Of Puppets
Il rock è sempre stato, sin dalla sua nascita, un cantiere aperto e mutevole.
Prima cera Elvis, il suo movimento di anche, i suoi rock sensuali ed ammalianti.
Poi cerano i Beatles, lesibizione in una chiesa sconsacrata a Top Of The Pops, il rock di Let It Be e Yellow Submarine, lo scioglimento inatteso causato da una Yoko Ono qualsiasi.
Poi arrivava il progressive rock e, con questo, i King Crimson, i loro tormenti psichedelici, i sax di 21st Century Schizoid Man che correvano su e giù, beffardi, per i timpani e i Black Sabbath, il loro primordiale heavy metal, i pipistrelli rigorosamente vivi finiti giù per la gola di Ozzy.
E poi, senza un come, un perché o un quando, scoccò il 1986.
Il 1986 verrà ricordato, in ambito musicale, anche e soprattutto per la clamorosa esplosione del thrash metal, un genere nato e cresciuto nella Bay Area, costa della California, che univa assieme la precisione chirurgica del primo heavy metal con la rabbia e la velocità dellhardcore punk. Sebbene già conosciuti negli anni precedenti, grazie ad album di ottima fattura, i maggiori pilastri del genere (Slayer, Venom e Metallica) si consacrarono definitivamente proprio in questi dodici mesi, creando capolavori atti a rimanere, per sempre, nella memoria di ogni musicofilo degno di questa nomea.
E innegabile affermare che Master Of Puppets dei Metallica è stato, è e rimarrà un disco epocale. Poco più di cinquanta minuti di storia: ciò basta e avanza per proiettare Kirk Hammett (chitarra elettrica), Cliff Burton (basso), James Hetfield (voce e chitarra elettrica) e Lars Ulrich (batteria) nellalbo doro degli indimenticabili (e degli indimenticati). E bene sottolineare che, comunque sia, il thrash metal che si può avvertire in questopera è sensibilmente diverso da quello dei cugini Slayer e Venom: se i primi prediligevano lestremismo, con sfuriate brevi, violente ed estremamente veloci, ed i secondi giocavano tutto sopra ad un barocchismo teatrale ed intenso, i Metallica decidevano di scegliere la via più articolata, con pezzi che sovente sforano il tetto dei cinque minuti, grazie ad una spiccata vena compositiva, ricca e fiorente, capace di districarsi nei territori più disparati senza perdere il benché minimo calibro di potenza ed impatto sonoro.
Ed è quando partono le note dellopening track Battery che si capisce davvero il motivo dellingombrante nomea di capolavoro generazionale. Si può già immaginare laddestrata mano di Hammett che, in preda ad un raptus sconosciuto, fra una strofa e laltra, mentre Hetfield sputa fuori le sue sentenze di polvere e sangue, mentre Ulrich fa implodere la doppia cassa, mentre un giovanissimo Burton ignaro della crudeltà che gli riserverà il destino da qui a breve tartassa il suo basso, si muove frenetica sui box di una tastiera infuocata, per cominciare un assolo senza tempo né età, dove lo spazio si distorce, violentato e privato della sua naturale cognizione.
Master of puppets, I'm pulling your strings / Twisting your mind and smashing your dreams / Blinded by me, you can't see a thing / Just call my name, 'cause I'll hear you scream / Master / Master / Just call my name, 'cause I'll hear you scream / Master /Master
E un maledetto giocoforza. E uno stupidissimo rapporto fra potente, visto come un burattinaio, e un sottomesso, che si rassegna al suo destino, vomitando acido sul mondo e tutto quanto ne concerne, perché nulla lo può ritrarre dalla condizione in cui versa. Ma è anche una dolce ballata, nella quale il calpestato si apre, come uno scrigno difettoso, al risuonare del morbido assolo di Hetfield, cercando comprensione ed appoggio. Mera illusione: con un rumoroso tonfo, un altro assolo, crudo e velocissimo, ne stronca qualsivoglia sentimentalismo sul nascere, per annegare nella sua stessa, retorica amarezza, in una corsa mai iniziata, rimpiangendo la debolezza dellaiuto richiesto (Laughter, laughter / Laughing at my cries / Fix me). Ed è solo alla fine, quando il trionfo si completa in maniera irreversibile, che si avverte il potere infinito del burattinaio: una risata grassa, beffarda, sardonica, priva di gioia e profondità, che si spegne sul fondo con un retrogusto amaro. In tre parole, Master Of Puppets: un capolavoro imprescindibile del metal.
Si ha quasi timore a rompere il perfetto meccanismo creato dal binomio dapertura, con il riff, vagamente Far West, che dà il via a The Thing That Should Not Be, composizione dinamitarda in bilico fra attacchi thrash, inserimenti di più classico heavy metal (ecco da dove viene la pluripremiata Enter Sandman ), arpeggi cupi e rimbombanti, con un assolo sferragliante, veloce e lacerante, dalle pesanti influenze industrial.
Lattenzione viene focalizzata sulla successiva Welcome Home (Sanitarium), una sorta di ballad dalla struttura semicircolare, dove il basso di Burton è liberissimo di spaziare fra le scale cromatiche da ascoltare lennesima performance solitaria , mentre la voce cavernosa di Hetfield tuona, di riff in riff, le (dis)avventure di un soldato al ritorno dalla guerra (più che evidenti gli strascichi polemici post-Vietnam).
Ma tutta la reale potenza sonora dellalbum si concentra in Disposable Heroes, una vera e propria carabina dalla violenza eccezionale, capace di essere ruvida ed assassina per oltre otto minuti, grazie ad un Lars Ulrich che, con un ritmo schizofrenico, supporta alla perfezione quello che è linfernale lavoro delle chitarre, velocissime e sempre in movimento, sia nei riff, sporchi e dissonanti, che negli assoli, acuti ed estremamente tecnici.
Il solo vero passo falso di Master Of Puppets è dato da Leper Messiah, pesantissima mazzata di impacciato heavy metal, spesso ripetitivo, che strizza locchio agli Anthrax, senza trovare quella freschezza compositiva che si era finora registrata in tutti i pezzi dellopera. In poche parole: poche idee, troppo riciclo.
Ma che questo sia tecnicamente un capolavoro, non viene messo in discussione nemmeno per un momento: il cervello si perde nei reconditi meandri dello spazio, ritornato integro e proiettato in una dimensione parallela. Ecco che avviene la magia di Orion, una lunghissima strumentale, uno dei tanti marchi di fabbrica della band, probabilmente il migliore brano dellalbum, dominata in lungo e in largo dallenorme genio creativo di Cliff Burton, capace di prendere il comando del timone per poi farlo veleggiare in mezzo a tempeste sonore senza il benché minimo rischio di sbandamento. Ogni suo riff entra di fatto nella leggenda: è solo lui che riesce a sostituire, senza danneggiare limpalcatura che sorregge la canzone, gli accordi di hardnheavy con un blues rock ammaliante ed ipnotizzante, che si distorce infuocato prima in un assolo, poi in una sparata thrash metal da far impallidire qualsiasi complesso con pretese distruttive.
Ed arriva lepitaffio finale, Damage, Inc.: lincipit vagamente new age si trasforma, come nel migliore (o peggiore?) incubo, in una sfuriata thrash metal dalle spiccate influenze slayeriane, agile e cacofonica, anche nellingombrante assolo marca Hammett che lacera fragorosamente i timpani dellascoltatore. E tutto si chiude a spirale in un silenzio che vale molto più di mille parole.
Il resto, purtroppo, è anchesso storia.
Il 27 settembre 1986, in Svezia, poco tempo dopo la release di Master Of Puppets, il ventiquattrenne Burton perse la vita in un orrendo incidente stradale, schiacciato sotto il pullman che i Metallica usavano per spostarsi nel paese scandinavo.
Nel 1991 la band californiana diede il completo addio al thrash metal, abbracciando sonorità più morbide e commerciali, con luscita dellomonimo album, detto anche Black Album per il colore della copertina. Da allora, una delusione dietro laltra, sempre più cocente, fino allindecente St. Anger datato 2003.
Eppure, ascoltando una volta dietro laltra questo Master Of Puppets, ci si chiede come sia possibile che i Four Horsemen siano stati plagiati da MTV in modo così netto e definitivo.
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