Black Rainbows
Pandaemonium
Con una produzione in studio tra le più assidue ed acclamate del settore (tre dischi solo negli ultimi sei anni, quattro a considerare anche loggetto della recensione, lasciando fuori i formati minori) e un nome che dalla natia Roma è uscito presto ad abbracciare i palcoscenici di mezzo mondo, i Black Rainbows possono ormai considerarsi a ragione tra gli indiscutibili classici contemporanei di un genere che, da sempre, alle profferte e alle trappole della contemporaneità si sottrae con sdegnosa fierezza. Pandaemonium, un biennio dopo Stellar Prophecy, a rimettere le cose in discussione non ci pensa nemmeno per un attimo: solita iconografia o iconografismo? mistico appositamente tagliato per il pubblico dellrnr (con tanto di riferimento a certa cinematografia omaggiata dalla nobile arte del cutnpaste), solito inchino vintage allheavy-fuzz degli anni 70 dalla prospettiva dei nipotini Noughties, solite fumiganti bordate di psichedelia interstellare.
Un lavoro che definire pervicacemente conservativo sarebbe dire poco, insomma: se non fosse che il gioco funziona ancora discretamente bene (non meno che eccellenti produzione e volumi, curati rispettivamente dal bandleader Gabriele Fiori e da Fabio Sforza) e il power trio capitolino, conscio delle proprie possibilità, suona sempre al massimo della propria potenza. Di passaggi intriganti, per chi ama le coordinate di riferimento, ce ne sono parecchi. Se lepisodio inaugurale è poco più di un pedestre riscaldamento su pentatonica, un classicissimo hardnheavy dal passo deciso (Sunrise), già con la successiva High To Hell cè un salto sabbathiano di qualità, Tony Iommi al tempo dei biker. La poco educata voce di Fiori tende al feeling bluesy del John Garcia dei tempi doro nella lunga Grindstone (gli Sleep alle prese con un nuovo Welcome To Sky Valley), mentre Fu Manchu e Nebula si danno appuntamento nel dust devil di I Just Wanna Fire (il cantato irrompe dopo unabbondante sezione strumentale) e lhard rock si tinge di doom nel mantra spacey della conclusiva 15th Step Of The Pyramid (anche se certi riff portano ancora il sigillo dei Leaf Hound: a proposito di fedeltà e continuità). Il disco è un po meno a fuoco nei brani dove la fase di impostazione e costruzione è miniaturizzata in un punto trascurabile (il bozzetto howlin blues di Supernova & Asteroids, il rifferama Monster Magnet di Riding Fast Til The End Of Time), sebbene il semplice e disimpegnato boogie di The Abyss abbia una forza centripeta in grado di stritolare i macigni.
Per quanto generalizzando un po, ma nemmeno troppo il disco rimanga sempre lo stesso da anni, Pandaemonium è una produzione di incontrovertibile qualità che riconferma i Black Rainbows sul piedistallo dellheavy psych tricolore.
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