Lorø
Hidden Twin
Ode ai gemelli nascosti, agli amants doubles, ai doppelgänger e ai dead ringers. Per bagnare con lo champagne delle grandi occasioni il (ahem) loro comeback discografico, a tre anni di distanza dallomonimo e controverso debutto, i montagnanesi Lorø scelgono titoli maiuscoli, luci stroboscopiche e primissimi piani: Low Raw è un geyser di defoliante industrial-sludge, un assordante vortice di suono nei cui interstizi baluginano alienanti rifrazioni space e distoniche (distopiche?) architetture chitarristiche. È il primo campanello dallarme: qualcosa sta cambiando, un asso è pronto per scivolare fuori dalla manica. Just keep asking yourself: what would Jesus not do?. Probabilmente non Choke, un altro scorticante panzer elettronico venato da stringhe di vocals harsh, puri significanti ornamentali che aggiungono distorsione a distorsione. Et voilà: la mattanza è servita.
Se nel first act il power trio, nel suo mantenere la barra dritta sino allultimo secondo, si faceva prendere la mano da alcuni, ambiziosi azzardi stilistici (gli stessi, non casualmente, acclamati o demoliti dalla critica), in Hidden Twin sceglie di percorrere la strada di un reboot compatto e minimale di alcune delle più brutali istanze di quel disco. Pochi virtuosismi, colpi di scena ridotti ancor più allosso: motivo per cui, ad esempio, le contrazioni post metal del singolo Inerxia, Drive Me As Only You Can Do allincrocio fra Nine Inch Nails, Ministry e Skinny Puppy durano il tempo di un battito di ciglia e scompaiono senza aver alterato in maniera significativa landamento del brano. È un approccio che aiuta ad asciugare le sbavature ma, nel bilanciare i difetti del primo capitolo, abbatte la spettacolarità dellinsieme (nonostante il gran dispiego di energie e il massiccio inserimento della voce, per dire, le dinamiche di un brano come Deafs Hymn rimangono piuttosto piatte). Il solo continuum centrale fra Point&Comma e la title track riserva sorprese aggiuntive. Il primo brano è una ferrosa e febbricitante jam alt-noise (come i Serpe In Seno vecchia maniera, solo al cubo) nel cui corpo vengono insufflate bolle di elettronica sci-fi, prima che una chitarra acustica la stessa di Breathe? riprenda in coda, con effetti mesmerizzanti, lo schema armonico portante. Propriamente da questi oscuri lacerti folk riparte il secondo brano, evocando landscapes color carbonchio Rome e ultimi Swans su tutti che si tramutano organicamente in un trogloditico rimestare sabbathiano prima, in una terremotante e stridente monta post metal poi.
Scrittura ed esecuzione del trio non sono minimamente in discussione, ma è inevitabile che dal dire troppo al dire troppo poco qualcosa si sia perso per strada. La Gestalt aspetta di trovare la sua naturale completezza in un terzo disco.
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