R Recensione

6,5/10

OssO

OssO

Si vedono, in una foto storica, Fabrizio De André, Francesco Guccini e Roberto Vecchioni, attorno al tavolo di un ristorante, dopo una serata trascorsa assieme al club Tenco. Faber sorride al discorso di uno sconosciuto interlocutore, intravedibile di spalle: il secondo guarda fisso davanti a sé, anchilosato sulla sua sedia di plastica, con una sigaretta in mano e (si presume) dei bei bicchieri di vino in corpo; il Professore, al solito, se ne frega e concentra tutta la propria attenzione sulla tazzina di caffè che sta bevendo. Sono convolati in un ristorante, come per un mélange sentimentale, anche Eraldo Bernocchi, Marcello Bellina, Andrea Belloni e Jacopo Pierazzuoli. Non abbiamo testimonianze posteriori dell’incontro, ma possiamo immaginare come si sia svolto. Entra per primo Bernocchi, aria tutta compunta ma, sotto sotto, un gran giocherellone: per lui spaghetti allo scoglio e frittatona di cipolle. Il rutto libero, a naso, lo mette Bellina: costata di manzo al sangue da tre chili? Belloni potrebbe aver optato per un’amatriciana e una grigliata mista di settantadue tipi di animali diversi (i comprimari sono sempre i più pericolosi). E Pierazzuoli, beh, i batteristi si devono tenere leggeri: carbonara e insalatona. Dalla chimica, e dalle apocalittiche visioni post-prandiali, nasce non solo l’abbiocco, ma – udite udite! – un intero gruppo: OssO.

Un tempo lo si sarebbe definito divertissement. Oggi, con i concetti di politically correct e autocensura che si intersecano variabilmente e paiono sostituirsi l’uno all’altro con sempre maggior frequenza, dovremmo tirare in ballo l’elaborato geniale side project. Mica l’unico, peraltro: nell’ultimo anno il solo Bernocchi ha scritto e prodotto il secondo disco degli Obake, “Mutations” (per le cui date dal vivo Pierazzuoli si è sostituito a Balázs Pándi), ha messo in cantiere il duo Mangiati Vivi con Giovanni Mori (L.C.B., Cronaca Nera), ha realizzato il sophomore dei Metallic Taste Of Blood (“Doctoring The Dead”: ne parleremo a breve) e sta preparando il ritorno, in grande stile, dei Sigillum S. Niente da fare: OssO, al confronto, rimane propriamente un divertissement. Ma cosa ci sarebbe di male nell’ammetterlo? Forse che i progetti nati per puro spirito ludico non possano ambire a dire qualcosa? La lingua, e le sue sfumature, sono importanti: c’è gruppo parallelo e gruppo parallelo. OssO – il cui carattere fortemente autoironico e leggero non si mette in dubbio mai, nemmeno per un istante, non fosse altro che per i titoli dei brani – non è paragonabile, ad esempio, agli Zolle di Bellina: quelli scherzano e basta, questi scherzano suonando.

Non si giudichi la differenza irrilevante: “OssO” rimane, in ogni caso, disco non semplice. “Ballsacher” è, a parere di chi scrive, il pezzo chiave, la composizione dove tutta l’esperienza polimorfica di Bernocchi (le frequentazioni industrial, le infatuazioni metal, gli esperimenti dub con Bill Laswell: inequivocabile lo stacco a 2:43) si fonde in un unico blocco, impenetrabile, stordente. Si va avanti così, senza variazioni, senza concessioni: “Mongolfear” sono i Fear Factory equalizzati (quasi) unicamente sui bassi, con un fuzz maligno ad imperversare; “Column” alza il tiro con una mitragliata math-core di distonia esemplare, un aggrovigliarsi di riff-non riff, tra analogico e digitale; “Squirter” parodia le classiche heads heavy metal, ribaltandole in sordi landscape noise (un po’ più di solidità nella chitarra e lo avremmo chiamato sludge). Certo, monocorde è monocorde: certo, nulla a che vedere con le mille angolature di Obake. Le sfumature, qui, sono assai più sottili: ci vogliono pazienza ed orecchio per districarsi negli oleosi Meshuggah di “Mungiball” (scordatevi, comunque, gli eccessi poliritmici del quintetto svedese), dimestichezza per reggere i deliri elettronici di “Mary Turdor”, mentre quello di “A Cockwork Orange” è sostanzialmente un unico giro macinato, con ossessività stordente, per sei minuti.

Metabolizzato come si deve l’impatto di questi trentasette minuti (più ghost track), rimarrà il ricordo di una buona prova e la sensazione di un adeguato antipasto verso il prossimo full length dei MoRkObOt, la cui scrittura è stata da pochi giorni ultimata (chi pensavate fossero Bellina, Belloni e Pierazzuoli…?).

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.