R Recensione

9/10

Strapping Young Lad

Alien

Gli Strapping Young Lad rappresentano il terzo anello di quella che potrebbe essere considerata la “sacra triade” (insieme ai Meshuggah e i Fear Factory) del thrash industriale degli anni ’90. Noti soprattutto per il carismatico e attivissimo leader Devin Townsend (che vanta molti progetti paralleli, tra cui gli Ocean Machine e i Devin Townsend Band, oltre che una carriera solista piuttosto nutrita), i nostri pubblicano nel ’97 “City”, autentico pilastro della musica estrema e d’avanguardia dello scorso decennio, riprendendo i concetti già espressi dagli storici “Demanufacture” e “Destroy, Erase, Improve” e portandoli ad un ulteriore livello di perfezione. E dopo il live “No Sleep Till Bedtime” dell’anno successivo, i nostri lasciano perdere le loro tracce per diversi anni, per tornare nel 2003 con un disco omonimo abbastanza fiacco ed anonimo, e nel 2005 con questo “Alien” che, secondo il parere di chi scrive, rappresenta l’album più completo e maturo della formazione canadese.

Gli ingredienti che hanno determinato il successo di “City” sono stati ripresi, ri-amalgamati e cotti creando un impasto ancora più saporito e sostanzioso che in passato. Lo testimoniano brani come “Skeksis” (probabilmente l’apice compositivo della loro carriera, visti gli innumerevoli cambi di umore nonché di ritmo e riffing, senza mai sembrare un mero esercizio di tecnica fine a se stesso), “Shitstorm”, introdotta da un blast-beat assordante come un boeing 747 in decollo e con un Devin Townsend letteralmente furioso, e “Shine”.

Caratteristica degli Strapping Young Lad è sempre stata quella di suonare pesanti e velocissimi ma senza trascurare un certo afflato melodico che permea gran parte delle loro composizioni: lo testimonia una composizione come “Possessions”, dove fanno capolino persino voci femminili in un ritornello quanto mai groovy ed orecchiabile. C’è persino spazio per una ballata agrodolce (riuscitissima, per altro) come “Two Weeks” con un arpeggio degno del miglior prog psichedelico degli anni ’70 (anche se non sareste sordi se vi venissero in mente anche gli Opeth del periodo “Morningrise”). L’uso delle tastiere è ancora più prominente che nei lavori precedenti e gioca un ruolo importante in un po’ tutte le tracce, contribuendo a creare una atmosfera  spaziale-apocalittica che dona maggior caratura alle composizioni.

In fin dei conti, l’unica traccia superflua è la conclusiva “Info Dump”: 11 minuti di noise, in un crescendo rumoristico lento ed estenuante che, francamente, sa un po’ di riempitivo. Ma non sarà certo un solo pezzo a far calare la qualità complessiva veramente elevata di “Alien”, uno degli esempi di industrial metal più lampanti e lucenti degli ultimi anni. E fidatevi che in tempi di metalcore zuccherino dilagante non è poco.

Per cui, mi sento veramente di consigliare l’ascolto di questo album a chi già conosce Devin Townsend, ma in generale a chiunque abbia affinità con l’industrial e la musica estrema in generale. Non è sicuramente un lavoro di facile ascolto, questo “Alien”, in quanto il materiale messo a fuoco è tanto e per di più di difficile assimilazione, ma di sicuro si tratta di un’uscita che vi darà grandi soddisfazioni una volta digerito.

I maestri si sono confermati ancora una volta.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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