V Video

R Recensione

6/10

Puscifer

Conditions Of My Parole

Cazzeggia, Maynard. Cazzeggia, tu che puoi, finché puoi, mentre pesti – o fai pestare – l’uva del tuo vino personalizzato. Bello vederti in questi panni, ogni tanto, lontano dal ragazzo complessato di inizio anni ’90, dal geometra di Fibonacci e dal vate sciamanico che, furente, malediva il dio di quella madre paraplegica poi a lungo compianta. Bello scorgerti così, uno dei migliori frontman della storia del metal alle prese con l’umorismo sfrenato, con l’ironia casereccia, con le battute da caserma volutamente calcate: se sei famoso e fai ghignare ad ogni minimo accenno sardonico non è colpa tua. Puscifer, lo dobbiamo ammettere, è una delle tue burle più riuscite, canzonatura mica da poco, specie perché arruoli gente che dovrebbe essere pensata per dare al progetto una parvenza di serietà (Tim Alexander, storico batterista dei Primus, Rani Sharone degli Stolen Babies), che forse è tenuta all’oscuro di tutto sino all’ultimo momento e che alla fine, manco a dirlo per scherzo, se la ride della grossa. O forse no: d’altronde “Conditions Of My Parole” è già il secondo disco, che arriva a quattro anni di distanza da “V Is For Vagina” e dal corredo di EP complementari che, c’è bisogno di sottolinearlo?, la buttavano chiaramente su cazzi e scopate. Ehi! Mica è una contestazione. Cosa lo ascolto a fare un gruppo chiamato Tool, altrimenti?

Fatto sta che di prendere quest’album sul serio, sperando con ciò di averti fatto centrare l’obiettivo principe, non ci abbiamo pensato mai. Mai. Neppure per un nanosecondo. A non conoscerti qualcuno potrebbe buttare nel minestrone giudizi roboanti, paragoni azzardati, parole grosse sullo stampo di “malleabilità”, “eclettismo”, “fantasia”… a non conoscerti, appunto. Che “Conditions Of My Parole” schivi egregiamente il monolitismo è vero, ed è sufficiente ascoltare la tripletta d’apertura per avallare la tesi di partenza: “Tiny Monsters” è synth pop + drum machine + dark wave + crossover vocale, spaventosa tamarrata da smascellare per terra, seguita da “Green Valley” – splendido esercizio di elettr(on)ico songwriting post-grunge sulla scia di “3 Libras” degli A Perfect Circle – e “Monsoons”, che ripresenta il caramello intimistico di Keenan in un dolce cullare di saliscendi glitch ed aperture di archi. Bastasse la varietà di fondo per creare un capolavoro, tuttavia, ci troveremmo dovunque di fronte ad ininterrotte colate di genio. La verità è che i risultati di Puscifer non possono, né vogliono (?) essere minimamente paragonati a quelli per i quali abbiamo imparato a stimarti ed elogiarti nel corso delle decadi. Il disco è ipersaturo: di suoni (si passa velocemente dal levitante industrial rock di “Telling Ghosts” al trip hop di “Horizons”), di atmosfere ma anche, ultimo non ultimo, di un divertimento sempre latente, tant’è che nella giostra delle influenze non è infrequente chiedersi; sogno o sono preso per il culo?

Ed allora cazzeggia, Maynard, continua a cazzeggiare. Questo è il tuo show, la tua parte da protagonista, senza l’onere di dividerla con nessun altro: approfittane. Vai da Letterman, mettiti un paio di Rayban, una parrucca bionda in testa ed una giacca da marinaio: attacca un giro che suoni come una versione acustica e putrida di “Undertow” – nota più nota meno, viene proprio alla mente “Bottom” – e costruiscici sopra, tra mille sghignazzate, un’esilarante title track. Mostra i muscoli a Trent Reznor in una “Toma” invero non priva di una certa patina emotiva, proietta le tue energie su un dancefloor intergalattico al suono dei riverberi di “The Weaver”, oppure torna a cullare le tue piccole smanie folk munito di banjo, con acquarelli che – a dirla tutta – suonano proprio deliziosi, sarà la concomitanza di una voce femminile (“Tumbleweed”). Illudici di essere tornato sulla retta via (non è la prima volta: non avevi forse detto di aver scelto Gesù?) con il giro in loop di “Man Overboard”, innaturalmente irrigidito e plastificato in una scintillante cornice estetica.

Cazzeggia, tu che puoi, finché puoi. Ma, mentre te la spassi, cerca comunque di ricordarti di una cosa: per ogni Tool che nasce, ci sono circa dieci A Perfect Circle e un centinaio di Puscifer qualsiasi.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Dusk 7,5/10

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

ozzy(d) (ha votato 6 questo disco) alle 14:27 del 11 novembre 2011 ha scritto:

mah secondo me fa bene a cazzegiare maynard, anche perchè i tool mi sembrano abbastanza su un binario morto, cioè

già il loro ultimo album era una riproposizione ( seppure brillante) di aenima e lateralus, dal prossimo non mi aspetto molto se non ulteriori repliche. meglio che sperimenti con questi divertissement piuttosto che macchiare il glorioso nome tool. voto 5, 5 ghghgh