V Video

R Recensione

4/10

Chrome Hoof

Crush Dept

Ci sono band che cercano a tutti i costi di abbattere gli steccati fra le diverse espressioni artistiche al fine di amalgamare stili diversi sino al raggiungimento di un’espressione “totale”. Di sicuro è importante far progredire la musica cercando di spingerla “oltre” senza assestarsi sulle solite certezze canoniche ma altrettanto importante è saper riconoscere i propri limiti artistici ed evitare di cadere vittime di una stupida velleità. I Mr.Bungle, ad esempio, effettuavano una commistione machiavellica di generi, cioè univano gli stili più disparati con le melodie più assurde ma di base mantenevano l’approccio alla “forma-canzone” che donava un sorta di pragmaticità necessaria a rendere il progetto intellegibile e fruibile ai più.

L’importante è dare un senso anche alla forma artistica più astratta, evitando di atteggiarsi a genio astruso e incompreso. I Chrome Hoof, con la loro ultima fatica, “Crush Dept”, cadono vittime di questo cieco vortice. Si presentano in nove e ad un primo sguardo ricordano vagamente i Rockets, ma hanno un’estetica più inquietante, come se fossero usciti da un film di David Lynch.

Una disamina più attenta della line-up rivela la presenza degli strumenti più disparati: trombe, violini, sintetizzatori, sassofoni, tastiere, percussioni, chitarre, viole, voci e basso sono gli strumenti che vanno ad animare le canzoni di questo terzo album della band. Sulla carta il progetto potrebbe risultare interessante, all’atto pratico i difetti non tardano ad arrivare. In primis l’approccio progressive alternato da incursioni in territori funk, metal e dance porta ad un risultato stucchevole. I Chrome Hoof cercano in tutti i modi di edulcorare la fusione tra i beat disco-funk e le schitarrate metal ottenendo un risultato troppo lezioso che lascia nell’ascoltatore un vago retrogusto di incompiutezza.

Ma il difetto più grande è la mancanza di un vero e proprio filo conduttore nelle melodie vocali. La cantante Lola Olafisoye, infatti, porta a casa una prova mediocre non riuscendo ad azzeccare un solo refrain accattivante, anzi, a causa di un timbro fastidiosissimo e sopra le righe, la voce diventa uno strumento superfluo, un’aggiunta pleonastica nel marasma di idee. La naturale conseguenza è che gli episodi migliori sono quelli strumentali, in bilico tra funk e progressive-rock che restituiscono una band più compatta, organizzata e matura ma sostanzialmente contribuiscono a confondere ancora di più le idee, tramutando le smanie avanguardiste in semplici operazioni di revival vecchie di trenta anni.

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

bill_carson (ha votato 5 questo disco) alle 10:22 del primo novembre 2010 ha scritto:

concordo

apprezzabili le intenzioni, ma il risultato è spesso alquanto sgradevole.