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R Recensione

6/10

Katatonia

Dethroned & Uncrowned

Al passaggio su Kscope – dalla quasi gemella Peaceville – i Katatonia decidono di dismettere ogni abito gothic-metal, dark-metal, doom-metal o post-nu-metal che dir si voglia, per accostarsi ai seguaci della storica label inglese, con una guisa più morbida e suadente. La band svedese, reduce da un album – “Dead End Kings” (2012) – apprezzato tanto dal suo pubblico, quanto dalla critica, riprende in mano le canzoni contenute in esso per soppesarle, ripensarle, reinventarle in chiave minimalista, avvalendosi di archi, depotenziando l’effetto elettrico, sottraendo dalla vista la batteria e dando risalto alle chitarre acustiche. La struttura dell’album originario è salva: ciò che ne scaturisce è  un flusso sonoro intenso ma uniforme, pieno di riverberi, ma privo del piglio che caratterizzava le partiture iniziali. E non credo si tratti solo del fatto che nel corso dei mesi mi sono abituato a “Dead End Kings” così com’é stato concepito: nella natura dei Katatonia – artisticamente in equilibrio fra Anathema, Ulver, Opeth, Agalloch e con le radici piantate nel metal scandinavo – è sicuramente insita la voglia di rinnovarsi, di stemperare le spigolosità acuminate, per esprimersi in un linguaggio diversamente aggressivo e opportunamente coerente alle ammalianti melodie. Ma nel tempo avevamo già avuto modo di apprezzare quegli idiomi di sintesi e di superamento di  schemi rigidi (vedi l’album “Night Is The New Day” del 2009), fino al punto tale da spingerci, oggi, a dubitare delle motivazioni che hanno portato ad un così consistente rinnegamento di quanto accaduto appena ieri. Non se ne comprende il senso artistico, pur non potendo fare a meno di rimanere incantati dalla fitta foresta emozionale delle armonie, così drammaticamente impersonate dalla voce di Jonas Renkse. Se la formazione sentiva l’urgenza di cavalcare in modo più intimo il crepuscolare moto ondoso della sua attuale ispirazione, non sarebbe forse stato meglio prendere tempo e comporre del nuovo materiale direttamente sulla suggestione offerta da questa dimensione più dimessa? Probabilmente la vicinanza con gli Anathema (compagni di scuderia ed ideologi della transizione dal metal ad “altro”), deve aver offerto ai Katatonia lo stimolo ad autoanalizzarsi, a rileggersi, a revisionare se stessi, senza pomposità, senza tracotanza, pur utilizzando orchestrazioni e una più melliflua chiave interpretativa.

Come dichiarato dagli stessi membri della band, al fine di spiegare il significato del titolo del disco: “la batteria è stata detronizzata e alle chitarre distorte è stata sottratta la corona: abbiamo posto l'enfasi  sulle atmosfere stratificate, restituendo centralità alle melodie e alle armonie vocali che rappresentano il cuore del disco”.

La cura nella produzione è tutta protesa a restituire la spazialità dei suoni: il mix 5.1 che presente sul bonus disc è stato realizzato da Steven Wilson, ormai specialista assoluto in questa tipologia di missaggio. Concedersi una sessione d’ascolto di The One You Were Looking For Is Not Here equivale ad abbandonarsi ad un vento impetuoso che sospende il lavorio dei pensieri.

 

Per quanto la moda unplugged tanto in auge negli Anni ’90 risulta decaduta da tempo, sembra che alcuni gruppi confidino ancora in questa forma di “denudamento”, convinti che questo possa suscitare un fascino in chi è lontano dai loro abituali abiti di scena. Ma non è l’eleganza del travestimento a dare la dimensione dell’artista: è vero, “Dethroned & Uncrowned” offre, a suo modo, una performance veemente, ma il contesto generale pare voler restituire una immagine sdoppiata della compagine di Stoccolma, una immagine duplice a seconda delle occasioni e a seconda del tipo di pubblico che si accosta al loro palcoscenico. “Exploring the ambient and progressive elements of Dead End Kings” recita il solenne annuncio che accompagna l’uscita dell’album. Non posso far a meno di interrogarmi sulle ragioni per le quale questi elementi, oggi così fondanti, meno di un anno fa non rivestivano il medesimo valore. 

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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Gio Crown (ha votato 6 questo disco) alle 11:20 del 25 settembre 2013 ha scritto:

Sicuramente affascinante , ma troppo concentrato sulle melodie e sulle chitarre da spiaggia. Sembra la colonna sono ra di uno di quei road movie americani degli anni '70-'80. e questo nonostante i tentativi di qualche guizzo più oscuro caratterizzato da archi e pianoforte. Mi piacciono in generale i "nordici" (tedeschi, danesi e scandinavi), li trovo molto stimolanti e diversi dalle sonorità più diffuse. Questi Katatonia invece mi sembrano assomigliare molto a gruppi americani e non vi ritrovo il sound "nordico"...infine, c'è una certa omogeneità nei vari pezzi...direi quasi monotonia.