Buñuel
The Easy Way Out
E se ? E se (con una buona dose di fantasia, certamente: ma quella, male, non può mai fare), se, dicevamo, il maestro cui si appella Pierpaolo Capovilla nellatto fondativo de Il Teatro Degli Orrori, lincipit recitato di Vita Mia, altro non fosse che mr. Eugene Robinson? E se tutto non fosse altro che un transfer, leducazione sentimentale e siberiana sentimentalmente siberiana? di un giovane ed innamorato ascoltatore divenuto artista navigato ed appassionato? Il maestro, daltronde, ha risposto e risponde ancora: eccome se risponde. In A Resting Place For Strangers con la puntiforme imposizione di forza bruta, il soverchiante una tantum, lâge dor: in The Easy Way Out con laffondo calcolato, la meticolosa pianificazione della sottomissione, Simon del deserto. Ad unire i due opposti, Buñuel. Che qui si reifica nella cifra del crudo, asfissiante iperrealismo degli scatti di copertina, gelidi e stranianti notturni post-hopperiani (cortesia dellottima Kasia Meow, moglie di Robinson e sporadica voce aggiunta del quartetto), quasi a richiamare gli spettrali cityscapes di Stéphanie Cardon e la metafisica dechirichiana. Non-ambienti (de)localizzati in non-spazi che viene facile immaginare come culla dadozione delle linee tematiche della band.
Dunque, rispetto allesordio, The Easy Way Out insiste sulle potenzialità della (de)costruzione applicata ad una concezione meditata, unitaria e (oserei dire) performante dellhardcore, o di ciò che ne rimane. Messa in termini meno filosofici: dopo A Resting Place For Strangers, raccolta di caustici bozzetti strumentali al limite dellimprovvisazione con sovraincisione vocale a posteriori, non è azzardato parlare di The Easy Way Out come di una pièce teatrale azionista finalmente scritta e interpretata allunisono, come gruppo, e non più come insieme di singoli illustri. Un esperimento davvero sui generis, anche per il curriculum di un personaggino a modo come Robinson, che mi piace pensare sia stato influenzato dallultimo, maestoso, inclassificabile disco degli Oxbow: la quarta parete decantata con sfarzo e infranta col fragore di un tuono. Non bastassero le deformità del first act, poi, la musica: un grumo sulfureo di distorsioni, una babele metallica sconvolta dalleffettistica, un saggio di post-modernismo applicato a schemi e linguaggi rumorosi di decenni orsono. Se ne esce con lo scudo, o sopra di esso. In cotanta pompa, ancora più intrigante del solito è, per dire, luso della tavolozza cromatica da parte di Xabier Iriondo che pur rimanendo fedele ad un approccio minimalista si diverte a cangiare continuamente toni e sfumature. The Hammer / The Coffin tratta chimicamente un industrial-sludge dalla ritmica straripante e dai confini indistinti. Il galoppo distonico di Dial Tone viene sventrato da un solismo tutto fumo e scintille. Sorrowfull Night inscena uno swing dellapocalisse, un jitterbug sommerso dal furibondo montare dei layers di suono (roba da considerare i Daughters delle timide educande); il noise-core di Happy Hour, infine, recupera le zoppie ritmiche della vecchia 1000 Doses Of Love, mettendole al servizio di un vomitorium criptolalico di mostruosa efficacia.
Ad un certo punto, allennesimo ascolto del disco, ho cominciato a chiedermi se, in fondo, tutto questo brutalismo non fosse altro che un pretesto, una corazza a celare un più intimo animo blues: se possiamo far passare per blues o per sue dirette filiazioni, bene inteso, le ottundenti geremiadi ad encefalogramma piatto di Boys To Men (un pezzo che da solo rischia di oscurare gli ultimi Harvey Milk), limpalpabile volatilità dei fantasmi di Hooker o lo spiritato mantra doom della lunga The Sanction (immaginate, per quanto possibile, una Sister Ray suonata dai Sons Of Otis). Difficile rispondere in modo univoco. Quel che è certo è che da lì muove il brano più interessante del lotto (uno dei due compartecipato da Kasia Meow, assieme al prescindibile intermezzo punk Shot), la mosca bianca The Roll, uno sci-fi à la Amphetamine Reptile preda di un terrificante risucchio noise: il solo momento, forse, dove liconoclastia cede il passo al rinnovamento, lo smantellamento alledificazione.
Difficile e criptico, ma notevole. Maestro, si accomodi, la prego: possiamo (ri)cominciare.
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