Deftones
Around The Fur
Non che l’album in questione, Around The Fur, sia necessariamente il più meritevole della trilogia che comprende i primi tre lavori della band, ma sicuramente si tratta di un lavoro indispensabile per capire da dove sia venuto fuori quel capolavoro che è White Pony.
Se nel primo album, Adrenaline, il gruppo inizia a definire le basi del suo caratteristico sound, riuscendo a farlo molto bene, nel successivo lavoro su queste stesse basi si sviluppa tutta l’aggressività e la compattezza di cui sono capaci i quattro componenti, mitigando, anche se non del tutto, le vaghe istanze pseudo-psichedeliche e Cure-iane del predecessore. Questo è sicuramente un album meno complesso del precedente, ma ugualmente studiato e faticato.
Si parte con My Own Summer, che nonostante sia palesemente pensata per apparire sul palinsesto di Mtv, lascia il segno con la sua robustezza e la sua violenza, unite a quella splendida sensibilità melodica tanto cara a Chino Moreno che troviamo qui nel ritornello. Gli elementi sono i soliti, quelli che già avevamo imparato ad apprezzare con Adrenaline: in primo luogo l’eccezionale voce di Chino Moreno, poi i potenti riff di Carpenter e soprattutto le geniali trovate ritmiche del batterista.
Sono proprio queste a sostenere mirabilmente la voce trascinata del Chino nella seconda traccia, Lhabia. Le chitarre rimangono in secondo piano, minacciose, per poi manifestarsi in tutta la loro furia facendo contrasto con i toni morbidi del cantante. Ma ecco che presto anche la voce si fa demoniaca e, senza apparire mai banale, sfoga la sua rabbia con grida roche, per poi riprendere con la consueta formula iniziale.
Mascara è una tipica canzone Deftoniana: il basso cupo introduce un lento ma deciso ritmo di Abe Cunningham, memore del dark dei primi anni ’80, la voce delicata di Moreno dona una tonalità malinconica ed emozionale al pezzo, che trova continuità nel più violento ritornello. Tutto questo costituirà una preziosa lezione per brani successivi come Digital Bath…
È sempre la sofisticata batteria di Cunningham ad aprire la titletrack Around The Fur, accompagnata dagli efficaci riff di chitarra e dalla voce variegata del cantante. Si tratta sempre di una mescolanza tra le sonorità schiette e feroci del crossover e quelle più soffuse del dark. La pesantissima sfuriata di Chino chiude il pezzo, lasciandoci piacevolmente impressionati e costituendo un assaggio della successiva Rickets.
Il bisbiglio di Moreno è sovrastato dalla velocissima batteria e dai colossali riff di Carpenter, ma riesce ad emergere in tutta la sua potenza nel ritornello.
Ed ecco che Be Quiet And Drive (Far Away) ci offre uno splendido esempio di quel tanto riuscito connubio tra sensibilità pop e fervore metallaro, in grado di dare quel tocco di profondità in più alle composizioni dei Deftones. Di grande impatto i suoni fragorosi della chitarra di Carpenter, e epocale l’immediatezza espressiva di Abe Cunningham. Ecco i Deftones migliori, tutti da assaporare.
Lotion, la settima traccia, è a mio avviso quella meno riuscita dell’album, con un troppo netto contrasto tra la pesantezza delle strofe e la liricità del ritornello. Niente di grave però, l’ascolto procede, incoraggiato dall’affascinante sfogo finale della traccia.
Un altro grande pezzo è Dai The Flu, nuovamente grato al gioco dialettico morbidezza/pesantezza, a cui contribuiscono sia gli strumentisti che il timbro malleabile di Moreno. Il basso distorto accompagna quindi i passaggi più delicati, mentre i feroci riff danno solidità e aggressività al resto. Il tutto ovviamente viene scolpito dalla maestria del grande batterista, vero marchio di fabbrica del sound del gruppo.
Ed ecco Headup, uno dei passaggi più violenti di Around The Fur, dai toni più smaccatamente crossover, costruita sulle rappate di Chino e sui ripetitivi riff metal. Si ha qui la partecipazione di Max Cavalera, leader dei Soulfly, al cui figlio, deceduto in un incidente, è dedicato l’album. La seconda parte del brano si fa sempre più estrema, non lasciando nessuno spazio a velleità pop e melodiche. La conclusione è affidata ai suoni tribaleggianti che saranno tipici dei lavori dei Soulfly.
Con Mx, l’ultima traccia,si ritorna alla forma canzone deftoniana, proprio ciò di cui avevano bisogno dopo l’assalto sonoro del brano precedente. Il Chino torna a sfoggiare la sua voce e le sue acclamazioni, sostenuto dalla splendida sessione ritmica e dagli accordi pesanti come pietre di Carpenter.
Aspettando di ascoltare il successivo album scorriamo gli oltre 30 minuti di silenzio che ci separano dalla soddisfacente ghost track.
Bene, ora il cd è davvero finito.
Infiliamo nel lettore White Pony…
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