Deftones
White Pony
La storia musicale di una band, se di band seria si tratta, traccia gli alti e bassi di un percorso di crescita e maturazione che nel migliore dei casi non si interrompe mai. Esistono gruppi che, credendo di aver trovato la formula magica, danno alle stampe l'album definitivo e in seguito pubblicano fotocopie su fotocopie tentando di ritrovare un'alchemia vincente che raramente si ripresenta (di primo acchito posso solamente ricordare The Unforgettable Fire e The Joshua Tree degli U2, lavori tanto simili quanto geniali).
Esistono invece band che maturano nel corso della carriera, a volte mutando direzione, a volte perdendosi in rivoli inconsistenti di creatività effimera, a volte trovando la propria identità con una autorità e una padronanza del mezzo senza precedenti. Nel 2000 i Deftones si trovano in ascesa verticale, dopo anni di gavetta e due dischi che hanno lentamente ma inesorabilmente marcato la scena del metal alternativo: il loro suono si stava affinando, già da Around The Fur si poteva intuire un'espansione unita ad un maggior controllo del processo creativo, la forma canzone era più omogenea e così era lo scorrere del disco; alcune band avrebbero potuto sedersi su questo risultato e diventare grandi personaggi in un mercato relativamente di nicchia, che ancora doveva conoscere lo tsunami della commercializzazione attraverso il nu metal.
Il disco vendette parecchio bene, e creò grandi aspettative per il terzo lavoro, che nonostante le pressioni della casa discografica tardava a vedere la luce. Quando nel giugno del 2000 White Pony viene dato in pasto al pubblico, gli USA sono pronti ad abbracciare il gruppo di Sacramento: il disco vende quasi duecentomila copie nella sua prima settimana, debuttando al terzo posto in classifica, e già dal primo ascolto si rivela una bomba. Abbandonato in parte il lato più grezzo, più punk del loro stile, i Deftones arrotondano gli spigoli allo stesso tempo caricando le canzoni di una potenza che mai pare sfuggire al loro controllo.
A partire dal primo giro di cd, dal riff di Feiticeira, l'impressione è quella di un'allegra macchina da guerra perfettamente revisionata e pronta alla battaglia, una tigre in grado di fare le fusa prima di ruggire e strapparti un brandello di carne dal petto, come nel caso di Digital Bath o Rx Queen, un animale pronto a scattare per la caccia, una grandinata inevitabile. Nel suono, anche durante i momenti più raffinati (vedi la sublime Passenger con Maynard James Keenan, o il singolo Change), si riconosce l'anima inevitabilmente bastarda e graffiante del gruppo, caratteristica che li porrà parecchi gradini più in alto di quel grappolo di band sponsorizzate dalle major che avrebbe creato un movimento in quello stesso periodo. Qui si tratta di un metal "colto", di un background musicale molto più profondo, di un gruppo che cercando i fuochi d'artificio ha creato la dinamite.
L'album sorprende dall'inizio alla fine per coerenza e coesione, per un suono moderno ed evoluto, per l'aura di classico che si porta addosso fin dai primi ascolti. White Pony ha venduto mezzo milione di dischi negli Stati Uniti dopo due mesi dall'uscita, raccogliendo in seguito grappoli di dischi d'oro; nonostante le grandi prove che hanno fornito in seguito, i Deftones non sono (ancora) riusciti a ripetere l'alchimia di quell'opera, anche per colpa delle sfighe assortite che hanno colpito un paio di elementi.
White Pony era il suono giusto al momento giusto, un urlo che si poteva sentire a parecchia distanza senza snaturare la sua anima. Per la maggioranza dei critici la band raggiunse qui il suo picco creativo, e un gran numero di loro annovera questo album tra gli ascolti fondamentali del periodo; di certo è un disco che è invecchiato meravigliosamente, il tempo è stato galantuomo e ha rivelato quanto "avanti" stessero guardando i ragazzi all'inizio della prima estate del nuovo millennio.
Tweet