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4/10

Killer Be Killed

Killer Be Killed

Non legate fra loro le parole “metal” e “supergruppo”: rischierete di provocare cortocircuiti emozionali. Senza rovistare negli archivi, ecco un esempio recente. Sono esplosi i caroselli all’annuncio del grande vecchio Max Cavalera (un passato glorioso nei Sepultura, un presente appannato nei Soulfly e nei mediocri Cavalera Conspiracy) di voler scrivere un disco a sei mani con Greg Puciato, il vocalist dei Dillinger Escape Plan, e con Troy Sanders, voce e basso dei Mastodon. L’entusiasmo, legittimo d’impatto per l’importanza mediatica dei nomi coinvolti, avrebbe dovuto scemare sin dai momenti successivi: razionalmente ed obiettivamente ragionando, sono vent’anni che Cavalera non firma un disco degno di nota, le quotazioni del quartetto di Morris Plains, New Jersey sono in discesa progressiva da “Ire Works” (2007) in poi, mentre i cavalieri di Atlanta, Georgia sono nel bel mezzo di una complessa mutazione genetica che li sta traghettando sui lidi dell’heavy meno sperimentale e ipercinetico (l’ultimo “Once More ‘Round The Sun” parla da solo). Eppure.

Sarebbe stato un sogno, se Killer Be Killed – che, in studio e dal vivo, si completa con il tocco assassino di Dave Elitch, turnista di lusso negli ultimi tempi incorporato nei Mars Volta e negli Antemasque – fosse suonato come un crossover, finanche sbiadito, delle tre anime del progetto (quella conservatrice di Cavalera, quella sperimentale di Puciato, quella oscillante di Sanders). Prevedibilmente, invece, arriva il disco che scontenta tutti: un tardissimo residuo degli anni ’90, piatto nella scrittura e monolitico nel suono,  qui e lì solo macchiato da estemporanee deviazioni che ne ingigantiscono, anziché alleviarla, l’insostenibilità. Se la copertina fa già intuire il peggio, sono i pezzi a sconcertare: una “Face Down” che si barcamena, manieristica, tra groove metal e filiazione Sick Of It All, una “Curb Crusher” che resuscita le orrende staffette distorto-clean del tardo nu metal (così come il parlamento italiano fa la gara a rivitalizzare i cadaveri dei vecchi democristiani), “I.E.D.” che vola rasente death, il singolo “Wings Of Feather And Wax” che indovina le cadenze melodiche del ritornello (degno del songbook di “The Hunter”) fallendo tuttavia nella costruzione generale, i Mastodon di sesta mano suonati come i P.O.D. in “Twelve Labors”, l’inutile spreco di energie di “Fire To Your Flag”…

Affondare il coltello nella piaga di un s/t che non avrebbe mai dovuto vedere la luce è troppo semplice. Tutto è ampiamente prevedibile e preconizzabile, anche nei frangenti migliori (il robusto post-grunge di “Melting Of My Marrow” trafitto da orientalismi che quasi riportano alla mente i primi System Of A Down, le atmosfere espanse e flangerate di “Forbidden Fire”). Era un fallimento annunciato? Forse sì. Ciò nonostante si sperava, ingenuamente, che la creazione di un nuovo gruppo fosse giustificata a monte da validi motivi. Una fiammella di fiducia bruciata in un baleno.

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