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R Recensione

4/10

Lacuna Coil

Karmacode

È sempre assai difficile, per un artista, constatare che, dopo anni ed anni passati sulla cresta dell’onda, la spinta creativa va scemando, come in una traumatica implosione, sino a scomparire del tutto. Ed è sempre drammatico veder collassare pian piano il soggetto in questione che, pur non avendo più nulla da trasmettere, continua a sfornare, come in preda ad un’apatia robotica, disco su disco, cedendo all’ignobile tendenza di riciclarsi oltre ogni decenza.

Questo scenario apocalittico si intristisce ulteriormente se, fino ad adesso, hai tenuto alto l’onore musicale del nostro (Bel) Paese in tutto il mondo, riscuotendo consensi soprattutto negli Stati Uniti, grazie ad una manciata di lavori freschi, dinamici ed ispirati, dalle sonorità tenebrose e barocche. In poche parole, se fai parte di un sestetto bergamasco, fondato nel 1994, conosciuto universalmente come Lacuna Coil.

Già prima della release del suddetto “Karmacode” – avvenuta il 31 marzo del 2006 –, si poteva percepire, lontano un miglio, il sentore del disastro imminente. L’ultimo lavoro dei nostri (Cristina Scabbia, voce: Andrea Ferro, voce; Marco Emanuele Biazzi, chitarra elettrica; Cristiano Migliore, chitarra elettrica; Marco Coti Zelati, basso; Cristiano Mozzati, batteria), quel gioiellino gothic metal di “Comalies”, era datato addirittura 2002. Dopo, alcune esibizioni, parecchio deludenti, nei maggiori festival metal mondiali (uno su tutti, l’Ozzfest), alcune dichiarazioni sibilline sul nuovo album, la furbissima operazione commerciale di ristampo dei loro primi due EP, nel 2005, giusto per raccogliere qualche sonante monetone in più. Ma soprattutto tanto, tanto silenzio. Inutile dirlo: tutte mosse false, e parecchio inaspettate. Ma ci si aspettava l’impennata, il ritorno alla gloria, con questo “Karmacode”. Errata corrige: questo lavoro si rivela essere la discesa negli abissi più profondi, senza alcuna possibilità di risalita.

Le canzoni del disco sono, senza troppi panegirici, delle pallidissime e stiracchiate riproposizioni (termine elegante per evitare il brutale “scopiazzature”) di tutto ciò che di buono i Lacuna Coil avevano fatto in questi quindici anni. E tutto ciò, sia per un loro fan sia per il sottoscritto che, pur non adorandoli, li seguiva con attenzione, fa decisamente riflettere.

È altresì evidente che non ci sono più idee: sin dall’apertura, la roboante “Fragile”, si possono scorgere acchiti di progressive metal, mischiato con sufficienza a linee di basso nu-metal (il nome KoЯn vi dice qualcosa, cari Lacuna?), il tutto condito da arrangiamenti sofisticati a metà fra il symphonic e il gothic metal. Naturalmente, non possono mancare sviolinate ed arpeggiate varie, in mezzo al cacofonico cantato di Ferro, ma l’insieme assume aspetti così ridicoli da risultare, francamente, assai imbarazzante. Stessa cosa si può dire della seguente “To The Edge”: campionamenti elettronici che si ispirano al Medio Oriente (ma su questo ci avevate già costruito, nel 2000, “Unleashed Memories”… ricordate?), riff di chitarra spudoratamente rubacchiati ai Sisters Of Mercy, voce armoniosa ma priva di forza. Si va di male in peggio con le due tracce successive: dapprima quel singolone, tanto pubblicizzato, di “Our Truth”, un incrocio mal riuscito fra coretti simil-pop smaccatamente ispirati ai cuginetti d’oltreoceano Evanescence e la ruvida cattiveria dei KoЯn passata in candeggina (da apprezzare sono solamente i virtuosismi vocalici di Cristina), poi una ballata scontatissima come “Within Me”, tenuta in piedi alla bell’e meglio da una chitarra arpeggiante e dall’incrocio delle parti vocali da parte dei due singer. Come diceva Califano, tutto il resto è noia.

I nostri continuano a non dare proprio segnale di ripresa: “Devoted” è un stanco amalgama di atmosfere gotiche, vocalizzi sospesi in un pop venato di sfumature dark, pesantissimi inserti di impacciato crossover (e vai con le citazioni, ora tocca ai Deftones!). Ma, giusto per non farci mancare nulla, c’è spazio per una strumentale: ora, non so se “You Create” avesse, come scopo, creare un’aura di mistero attorno ai timpani dell’ascoltatore (originalissimo davvero, il sottofondo arabeggiante), ma quello che è certo è che al sottoscritto è venuto uno sbadiglio grosso come una casa. Sbadiglio che si è trasformato, assai rapidamente, in una smorfia di disgusto all’apparire di “What I See” che, udite udite, altro non è che la trasposizione gotica – un po’ bruttina, non c’è che dire – della traccia precedente, con tanto di riffone nu-metal, incrocio vocalico, batteria martellante. Un'unica parola può descrivere tutto ciò: sconcertante.

Ben presto, comunque, l’incredulità elegantemente modulata, che fino ad adesso aveva accompagnato lo svolgimento di ogni singola canzone, si trasforma in vera e propria disperazione con l’avvento di “Fragments Of Faith”, un inascoltabile mescolanza di punk (punk, avete capito bene…), assalti nu-metal, sperimentazioni elettroniche soffocate sotto un rap serrato di Ferro, gorgheggi della Scabbia assolutamente fuori luogo, inadeguati al contesto.

E, come in un requiem angosciante, i Lacuna Coil si eclissano rumorosamente, con un quadrilatero sonoro che definire pessimo sarebbe un leggero ed entusiastico eufemismo: prima “Closer”, una canzoncina dark emaciata e senza pretese – ma è stata scelta come terzo singolo… –, poi la timida “In Visibile Light”, che contrappone le solite, annoianti sezioni strumentali di nu-metal ad una voce calda e sussurrata, quasi soul, passando per “The Game” e “Without Fear” (dove compare l’italiano), talmente brutte, noiose e ripetitive da parere dei cloni fra loro (copiano un po’ da “In A Reverie”, album del 1999, un po’ da “Unleashed Memories”, un po’ dal repertorio degli Slipknot).

E sembra incredibile dire, dopo tutto quello che è stato argomentato in sfavore, che questo immane disastro viene salvato, sebbene molto in parte, proprio in calcio d’angolo. L’ingrato compito tocca, addirittura, alla cover di “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode, ultimo pezzo del disco, estratto come secondo singolo: la rilettura è complessivamente efficace, dal tocco moderno, con piglio tenebroso e con grinta ammirevole – e non a caso la prova migliore di Cristina risiede proprio qui.

Che dire? Che cosa resta, alla fine dell’ascolto, di quest’opera?

La risposta è drammaticamente semplice: nulla. E forse è meglio così, perché questi Lacuna Coil non sembrano nemmeno lontani parenti di quelli che, fino a pochi anni fa, riuscivano a conquistare, con i loro lavori, anche coloro che disprezzavano e sovente criticavano la scena del goth-metal (e dintorni). Questa volta, con mio sommo dispiacere, nessuna pietà per loro.

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C Commenti

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SanteCaserio (ha votato 4 questo disco) alle 13:41 del 17 gennaio 2009 ha scritto:

Non li ho

mai amati particolarmente. Ma li ho incrociati diverse volte sui palchi italiani e non ho condiviso le varie stroncature che si sono visti manifestare in sede live...

Resta (poco secondo me) qualcosa di innovativo che hanno saputo dire nel passato e un gruppo che resta, sostanzialmente nella mediocrità.

Karmacode è tra i lavori peggiori e mi ritrovo d'accordo su quasi tutto con la recensione (a proposito complimenti).

Vero che la cover non è da buttare, ma insomma non c'è nemmeno un chissà quale contributo imprescindibile---