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R Recensione

7/10

Across Tundras

Sage

Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. Non oso immaginare quanto fango, quanta sporcizia rurale si annidi nelle prosperose campagne di Denver, Colorado, aka Mile-High City, aka chissà quanti altri attributi d’amore spassionato appiccicatele addosso dal ruspante nazionalismo a stelle e strisce, che in ogni sobborgo trova la propria sweet home Alabama da encomiare e glorificare. Gli Across Tundras, trio ora di stanza a Nashville, Tennessee – come se ci fosse posto migliore per elevare al cubo l’appartenenza patriottica latente in ogni bravo statunitense… – hanno cominciato a camminare proprio da lì, nel 2004. Guardando in retrospettiva, in fondo, la loro storia rispecchia un invidiabile rispetto del background standard delle nuove leve rock, primo fra tutti un’eccezionale devozione verso l’americana, la folk music, le languide ballate country, la musica d’autore, i covoni di paglia e le distese desertiche, i miraggi e le sterminate spianate a maggese. Stimolante constatare quale sia stato realmente il mezzo, attraverso il quale la ruggine dei tempi passati ha trovato sbocco. Un aiuto, in questo senso, va ricercato nel loro padre putativo – Steve Von Till, storica colonna dei Neurosis – e nell’etichetta che li produce. Avete compreso alla perfezione: Neurot meets stoner rock.

L’anomalia si fa tanto più evidente, quanto viene esplorato a fondo il discorso. “Sage” è il settimo (!) lavoro in studio in sette anni, vittima di un’inesorabile iperproduttività che da tempo porta il gruppo a rilasciare, con costanza e metodo, almeno due full-length ogni dodici mesi. Dietro, è bene sottolinearlo, non vi è altro se non una deliberata e consapevole scelta della stessa formazione. Sciolti da ogni costrizione esterna, unici padroni della propria creatività, gli Across Tundras liberano una colossale ondata d’urto, sette movimenti che sono agglomerati di elaborato lavorio southern a contatto con il post-metal, aride scocche sudiste ed ingranaggi strumentali che mettono in riga la psichedelia “moderna” dell’ultimo decennio. Altrove, sono spesso stati citati gli Arbouretum come termine massimo di paragone per avvicinare ad un senso compiuto la musica dei tre yankee, ma è necessario prestare attenzione a non confondere troppo le acque: il suono dei Nostri assume fattezze che schivano l’ambientazione acustica da carovana, puntando ad uno scontro en plein air, fisico e massiccio, tra chitarre sature, torrenti di classicismo filologico ed allucinazioni all’orizzonte.  

Potrebbe bastare la sola “In The Name Of River Grand”, blues rock perforato da invenzioni latineggianti, con tanto di ipnotica torcida finale resa traslucida dal luccichio delle trombe e dallo spietato cavalcare di un distonico crescendo mozzafiato, per far cadere in infatuazione tutti coloro che, come il sottoscritto, non hanno prima d’oggi avuto l’occasione di approcciare i frutti degli Across Tundras. “Sage” è, però, anche molto altro: il cipiglio di “Hijo De Desierto”, Lynyrd Skynyrd trasfigurati dai Kyuss, le stille di bonfire folk che trasudano da “Buried Arrows”, con un riuscitissimo impasto vocale sgraffignato ai Black Mountain (voce femminile di Lilly Hiatt) ed una chiusura quasi corale, il passo a tratti sludge di un’acida “Mean Season Movin' On”, brano che più di tutti gli altri sintetizza il coraggio insito nella progettazione e nella successiva realizzazione dell’ibrido A Storm Of Light/Fu Manchu. La resistenza crolla compiutamente al sopraggiungere di “The Book Of Truth”, cinque minuti e mezzo di progressivo ispessimento ritmico visionati frame by frame dall’ombra di Scott Kelly, e soprattutto “Shunka Sapa”, un capolavoro strumentale di psichedelia peyote addicted costruita su torridi arpeggi, rimbombare metallico di percussioni e spettacolare epilogo mexican doom.

Una curiosità? Il 2011 degli Across Tundras, quasi a rimanere fino all’ultimo fedeli alla propria sostanza, si è concluso con il rilascio di un altro disco autoprodotto, “Tumbleweeds”, ed un EP intitolato “Metatotem”. Fossi in Jodorowsky, non perderei altro tempo nello scritturarli per scrivere la colonna sonora del suo prossimo film.

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