Converge
The Dusk In Us
La ragione storica di costituzione ed esistenza della band lo faceva presagire, alcune avvisaglie degli ultimi dischi specialmente Axe To Fall (2009) e il fortunato All We Love We Leave Behind (2012) cominciavano a giocare a carte scoperte. Oggi, con il nono e attesissimo full length The Dusk In Us, i Converge staccano definitivamente il ticket della maturità artistica e si apprestano a diventare ciò che, in nuce, è la possibile proiezione di qualsiasi giovane (e indiavolato) gruppo hardcore: un monumento di esistenzialismo post-core pervicacemente attaccato alle proprie origini, un concilio di giovani vecchi saggi chiamato a mediare (attenzione: non a rinnegare) lincontenibile irruenza dei primi passi con la profondità di pensiero (o almeno si spera) delletà adulta. Che tra il bianco e il nero luoghi comuni a parte si interpongano infinite sfumature di grigio è un dato di fatto testimoniato anche dallimportante cover: le vestigia di un impero che esibisce tutta la sua statica decadenza.
Mai come in questoccasione, stando a quanto detto, i testi di Jacob Bannon ricoprono un ruolo essenziale nella decodifica del disco. Così, quando i metamorfici tapping math-core di A Single Tear (schema armonico simile alla Aimless Arrow dellepisodio precedente) si irrigidiscono nella colata metallica del ritornello e si ricompongono in una progressione emocore da cuore in gola, si comprende che il potere sconfinato di quellunica lacrima racchiude loceano di emozioni contrastanti sotteso allesperienza della paternità e delle sue nuove responsabilità (When I held you for the first time / I knew I had to survive / As a single teardrop fell). È questo il concetto da cui riparte il magniloquente doom della lunga title track, una riflessione diaristica sulle difficoltà insite nel futuro e sul doppio oscuro che alberga in ciascuno di noi (I ask from within my heart, where did our failures start / If we must imagine ourselves as someone, somewhere else / And what does the future hold, if were running low on health and hope / Our denial it speaks in tongues, theres monsters among us) che, nelle paradigmatiche chitarre seppia dellanthemica Thousands Of Miles Between Us, diviene germe di separazione interpersonale prima ancora che geografica (Numbness makes some sense / Without a consequence / Something not meant to be / Found a way to breathe: quasi una versione al bromuro della Never Meant degli American Football).
Lalterità di cui sopra è un fantasma che riappare e si replica in infinite manifestazioni, da una Trigger che gioca a rinverdire i liquami blues-core dei Jesus Lizard (più che Bannon-Yow, è Ballou-Denison il paragone calzante) al quasi sludge atmosferico di Under Duress, dallepica guerresca e lineare della conclusiva Reptilian (con alcuni rinforzi triggerati vagamente metalcore di cui si poteva fare a meno) alle furibonde scariche noise di Murk & Marrow. Poi, naturalmente, ci sono i soliti Converge, gli antologisti di loro stessi, quelli delle geometrie aliene di Broken By Light (suonata alla velocità della luce) e dei blast devastanti di Cannibals, quelli che scorrazzano indisturbati nel playground dei furono Dillinger Escape Plan vandalizzandone ogni singola struttura (Eye Of The Quarrel) e quelli che, in I Can Tell You About Pain, estraggono dal cilindro uninsperata bordata hardcore old school à la When Forever Comes Crashing.
Ciò che comincia a mancare aldilà dellammirevole evoluzione personale di un gruppo sulla cresta dellonda da più di ventanni è leffetto sorpresa, la novità che tenga incollato lascoltatore dal primo allultimo secondo. Ma, daltro canto, cè un tempo per tutte le cose: e lobiettivo dei Converge del 2017 è, manifestamente, altro.
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