V Video

R Recensione

6,5/10

L'Inverno della Civetta

L'Inverno Della Civetta

I primi giorni dello scorso agosto, a distanza di molti mesi dall’uscita dell’omonimo debut album, L’Inverno Della Civetta – o, per meglio dire, una sua infinitesimale rappresentanza – è riuscita finalmente a calcare il palco dei Giardini Baltimora di Genova. Una grande festa tra amici a prova di indulgenza, il degno coronamento di un percorso di azione e resistenza che – idealmente – esplode al calare dei manganelli di Stato sulla pelle dei manifestanti al G8 del 2001 e si rinfocola, gradatamente, lungo lo scorrere inesorabile di un’epoca autofaga e già post-modernista. Faranno tutti orecchie da mercante, ora, ma quando i Meganoidi smisero di cantare “Nazigoliarda” e fecero conoscere allo Stivale “And Then We Met Impero”, non fu snobismo né pazzia: fu la dolorosa ammissione che il nemico si era evoluto e che, di conseguenza, andavano ripensate anche le armi per combatterlo. Un gesto di incompromettibile serietà politica. Non stupisca pensare che ne L’Inverno Della Civetta trovi posto, in una “Messaterra” che vortica swing su di un asse di minimalismo novantiano, anche il basso di Riccardo “Jacco” Armeni. Ma per nominare tutti i protagonisti della cordata – tra cui pezzi di Numero 6, Lilium, Vanessa Van Basten, La Notte Dei Lunghi Coltelli, Gli Altri – non basterebbe il vino che possono contenere certe tombe.

Lo si ascolti, dunque, L’Inverno Della Civetta. Tenendo presente che di unicum smaccatamente significante si tratta e, come tale, cantiere in costante e benvenuta evoluzione. Asciugato all’osso: non di disco, ma di insieme di molti dischi possibili (e labilmente convergenti) si tratta. Una compagnia artistica che declina sostantivi sonori tra loro variamente miscelati, senza preoccuparsi troppo di indirizzare il platter verso questa o quella direzione. Chi ama Raein e Marnero si troverà in sintonia con le corde del malinconico screamo di “Amaro”. “Bantoriak” fa incuneare gonfi fraseggi new wave in un torso ritmico dal cipiglio Ornaments: similmente, “The Shivering Tree” spara i Bitch Magnet in una striata orbita post-core, la gemella vigorosa dei For Carnation riflessivi di “Territori Del Nord Ovest”. Detto questo, oltre l’America cogitabonda d’anni ’90 c’è altro: la bordata stoner di “Chewbacca On Surf” (che si inventa un ripieno etno-jazz quantomeno curioso), il folktissement in punta di piedi di “Numero 7” e, soprattutto, il monologo dello Scrittore, dallo Stalker tarkovskijano, che accompagna l’epopea prog-ambientale di “Estonia”.

Un solo brano, “Crisaore”, sorta di rancido grunge con la voce di Giulia Sarpero dei Kramers che ricorda assai spiacevolmente Eva Poles dei Prozac+, suona fatalmente fuori luogo. È un neo che non ci impedirà di augurarci altri dieci, cento, mille simili inverni.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.