V Video

R Recensione

6,5/10

Morsura

Morsura

Di chitarrista in chitarrista, anche lo straordinario Christian Zandonella è uscito dal gruppo, accasandosi in forza agli oscuri Meanlover (autori, qualche anno fa, di una discreta cassettina a tiratura limitata più hc diy dell’hc diy). Dalla separazione in avanti i Lucertulas, storica istituzione post-core del Triveneto finita in un limbo non meglio definito dopo l’ultimo, buono “Anatomyak” (2014), sembrano aver esaurito quella spinta distruttiva che, invece, divampa furibonda nei lombi di Morsura, la nuova creatura a tre teste cui Federico Aggio presta urla e basso. Un perpetuo ciclo di dissoluzione e rigenerazione che il tricolore pesante conosce a menadito e che coinvolge, a questo turno, Mattia Antonelli alla chitarra e Jacopo Pannocchia (già nei Tagliabuio) dietro le pelli. Cambiano gli addendi ma non il risultato finale, si potrebbe chiosare dopo appena qualche ascolto di questo esordio omonimo: se non fosse che, sebbene generalmente standardizzato e facilmente incanalabile nella macrocorrente -core, il disco merita comunque un’analisi a parte, specialmente con riferimento agli elementi di discontinuità.

Il più evidente è quello lirico che, nel passaggio da inglese a italiano, oggi tende sensibilmente verso la narrazione – affilata, cruda, espressiva – di complesse e sanguinose dinamiche relazionali. Interessante è, a tal proposito, paragonare lo schiumante monologo interiore di “8 Hours” con l’allucinato dialogo di “Ad Un Passo”: lì una grandinata di maledizioni su un lavoro piatto e logorante, qui un rapporto metaforico col nodo scorsoio che si fa, forse, figura retorica di un amore andato a male. Ancora più esplicito il disperato titanismo di “La Resa”, che alla staffetta tra corrosivi arpeggi Scratch Acid e bombastiche progressioni à la Big Black oppone un basso violento e distorto da catalogo Amphetamine. Alcuni accorgimenti stilistici vengono adottati, per amore di coerenza, in corso d’opera: così le concessioni melodiche emocore tra le cesure di “Assenza”, la gravitazione screamo del refrain di “Ad Un Passo”, lo sporco gelo quasi post-black della breve strumentale “Fredda Luce Del Mattino” e le apparizioni grunge tra le spinte dissonanze di “Nessun Eroe”. Non sempre, va detto, la variatio convince, per non parlare del conquistare: fortemente penalizzati i pezzi più lunghi (pedante ad esempio “Supplica”, nonostante il marcescente e lizardiano avviamento blues di metà pezzo che lo spinge verso andature epiche) rispetto a quelli più classici (“Selvatica” è un ripoff dei Lucertulas) e dinamici (i sobbalzi, quasi à la Daughters, di “Convergenza”), anche per colpa di uno sconsiderato missaggio che pompa steroidi nella ritmica senza valorizzarne il colore, la differenza timbrica.

Pro e contro in abbondanza, ed è di per sé un segno positivo. Fa bene al cuore vedere che c’è chi, nonostante tutto, si rifiuta categoricamente di mollare la spugna.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.