Neurosis
Fires Within Fires
La tentazione di ammonticchiare i peggiori epiteti riservati per Honor Found In Decay e rivederli al ribasso, in occasione del commento a Fires Within Fires, è tanto più forte quanto meno tempo si è deciso di devolvere al dodicesimo full length dei Neurosis. Il primo ascolto, ne conveniamo, potrebbe anche essere lultimo per una larga fetta di affezionati il cui cuore ha trovato rifugio nelle pieghe di The Eye Of Every Storm (2004) o, al massimo, nel successivo, più che dignitoso Given To The Rising (2007). Molte e determinanti le ragioni. In primis, lapporto quasi nullo di uno Steve Von Till prima determinante, lombra del chitarrista che fu, uno strumentista sempre più soffocato dal suo ingombrante passato (i riff che aprono Bending Light e Fire Is The End Lesson sono scolastici, telefonati, eccezionalmente privi di dinamica e profondità). Da parte sua Scott Kelly si dibatte, come un animale ferito, molto meno che in passato, senza impressionare (di tuttaltra pasta le recenti performance offerte in Corrections House e Mirrors For Psychic Warfare). La storica sezione ritmica di Dave Edwardson e Jason Roeder asseconda le traiettorie disegnate dai colleghi, senza mai uscire dal seminato. Dura appena quaranta minuti, Fires Within Fires, distribuiti su cinque tracce un assoluto record per la band di Oakland, California, anche se il loro esordio, Pain Of Mind (1987), rimane ad oggi il loro disco più breve in assoluto , ma non bastano due mani per contare sbadigli e cali di attenzione.
Un disastro, insomma. Se non fosse che unesplorazione paziente, da vademecum, porta sempre consiglio. Basta poco perché lascoltatore impari ad utilizzare quella chiave dargento raffigurata in copertina e dischiuda un diverso scrigno, portatore di una diversa interpretazione. Fires Within Fires potrebbe allora proporsi come qualcosa che i Neurosis non avevano ancora provato a fare, in meravigliosa antitesi con la generale tendenza della scena internazionale (si prendano, per tutti, le ultime uscite di Sumac, Minsk e Cult Of Luna): un disco minimal post-core, una versione del gruppo depotenziata di ogni epica e compressa negli angusti spazi di un lavoro che espunge ogni dettaglio superfluo. Lo scatto ringhiante di Bending Light brucia di una fiamma inestinguibile, in un cenotafio doom costruito attorno a tre, massimo quattro accordi: il risultato è tanto prevedibile, quanto sottilmente ipnotico. Le dinamiche di A Shadow Memory se si escludono minime sezioni di arpeggi in flanger a collegare fra loro le strofe si avvicinano non tanto ad un brano sludge quanto, piuttosto, ad una Ringkomposition folk. In Fire Is The End Lesson, tutte le tensioni del brano si sfogano su unelementare progressione su pentatonica, suonata a volumi sempre più alti e alternata a scansioni per sei corde dal piglio marziale: un bel contrasto con gli improvvisi squarci di decadente melodismo offerti dal caparbio post-core di Broken Grounds. Della lunga, conclusiva Reach, infine, non si ricordano tanto i pizzicati cripto-jazz incastonati nel corpo principale, quanto laccelerata degli ultimi minuti che, annunciata dal vento di battaglia delle percussioni, riconduce il discorso a morenti, secchissime staffilate chitarristiche, scevre da ogni virtuosismo.
È proprio reach lultima parola ruggita da Kelly, il suono che pone inaspettatamente fine a Fires Within Fires. Segno che i Neurosis, pur molto lontani dai loro giorni migliori, sono ancora in movimento, alla ricerca di qualcosa. Già ma di che cosa?
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