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R Recensione

9/10

Fugazi

In On The Kill Taker

La città era il solito agglomerato di pregiudizi e solitudine, piccola e meschina. Un nido di api incazzate. Una Babele affamata di bugie e avidità. Un mostruoso imbroglio che ha sostituito l’etica con l’opportunismo politico dei mentecatti, e il baratro s’è spalancato di fronte alle nostre coscienze. Arretriamo inermi, come mosche in un barattolo. E quando scende la notte sulla dignità degli uomini, la città urla. Si contorce, impreca. Non respira. Soccombe. C’è un vicolo cieco tra la pioggia acida di ottobre, bagna marciapiedi stretti e cade sfinita nei tombini. Un sibilo lontano, una sirena improvvisa richiama l’attenzione (pericolo!), il basso di Lally avanza velenoso, poche note insistenti e confuse deflagrano in un riff potente, necessario ("Facet Squared"). Sono pugni che sanguinano su un muro nero e altissimo di menzogne col tacco. E’ il potere usuraio che non logora mai chi controlla l’opinione, torna ad avvitarsi intorno al collo e stringe forte ("Returning The Screw").

Immagina un luogo dove sfogare la tua frustrazione, contro una società che scolorisce l’individuo e un parlamento prostituito agli interessi di pochi. Immagina "Public Witness Program", le chitarre impetuose di Ian MacKaye (chitarrista e fondatore degli storici Minor Threat) e il canto nervoso di Picciotto, due minuti stimolanti quasi quanto un ricreativo weekend in Valtellina insieme a Caterina Murino. "In On The Kill Taker" era la frase di una vecchia lettera trovata dal vocalist Guy Picciotto: catarsi e urla implose, vuoti e chitarre abrasive ("Rend It"), intenso e meditativo slow-core che al minuto 2’56’’ muta in una viscerale digressione post-rock, post-noise, post-tutto degna della Gioventù Sonica ("23 Beats Off"), proiettili pulphardcore di chirurgica e polemica precisione rispediti al mittente prevaricatore ("Great Cop"). "In On The Kill Taker" è il terzo grande (forse grandissimo) album targato Fugazi da Washington D.C.

Resistere non è un comodo rifugio ai sensi di colpa, resistere significa coinvolgersi perché “...They should never touch the ground. Irony is the refuge of the educated, always complaining but they never quit. Cool's eternal, but it always dated...” Riavvolgo il nastro. Dicevo che i Fugazi rimangono indelebilmente l’espressione più sincera e militante dell’utopia rock, dello spirito indipendente DIY (Do It Yourself) senza compromessi e catene mercantili, fin dalla fondazione a Washington nel 1987. “Fugazi” è l’acronimo di “Fucked Up, Got Ambushed, Zipped In” (“Fottuto, preso in un’imboscata, accerchiato”), frase utilizzata dai soldati americani in Vietnam per segnalare situazioni di pericolosità estrema. "In On The Kill Taker" amplia e definisce gli orizzonti post-hardcore dell’epocale "Repeater" (1990) e di "Steady Diet Of Nothing" del ‘91. Uscirà nel maggio 1993 per la rigorosa Dischord Records del boss MacKaye, prodotto dai quattro anti-eroi dell’underground U.S.A. con Ted Niceley.

Un album incendiario come benzina sul fuoco, che ogni bravo ragazzo cresciuto tra volontà e fallimento dovrebbe mandare a memoria. E perdersi istintivamente nel funk mentale di "Sweet And Low", in cui la sezione ritmica di Joe Lally e Brendan Canty incrocia lirismi elettrici à la Slint. Nelle nevrosi di "Instrument", con un Picciotto che richiama magistralmente il canto indolenzito dei fratelli Mothersbaugh. Nel vigoroso omaggio al nume tutelare John regista di “Gloria" ("Cassavetes") e nei titoli di coda sull’ultima, sgranata immagine al ralenty di "Last Chance For A Slow Dance". Un’amara danza moderna sui detriti della città devastata. Le nubi sembrano diradarsi nei cieli incerti di ottobre, e "Smallpox Champion" schiuma rabbiosa abnegazione da un anonimo appartamento. Prima che il Ministero dell’Informazione venga a prendermi, prima che la polizia sfondi la porta, buchi il soffitto e mi porti via incappucciato. Dopo una firma sulla ricevuta.

 “...You saw what you wanted. You took what you saw. We know how you got it. Your method equals wipe out. The end of the frontier and all that you own, under the blankets of all that you've done. Memory serves us to serve you...”

V Voti

Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 12 voti.
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Teo 9/10
babaz 10/10
Miro 6/10
ThirdEye 9,5/10

C Commenti

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DonJunio (ha votato 8 questo disco) alle 11:48 del 26 ottobre 2010 ha scritto:

I Will not Lie

Grande Davide che omaggia le bellezze cagliaritane eheheh..... dal monumentale "Repeater" fino a "Red Medecine" compreso ( e in parte "End Hits") questi hanno inanellato una serie immacolata quanto le lenzuola di Don Camillo. " 23 beats Off" sempre da brividi, il basso di Joe Lally patrimonio dell'umanità.

DonJunio (ha votato 8 questo disco) alle 11:53 del 26 ottobre 2010 ha scritto:

Pardon, Daniele ( come il nostro Capitano figlio di cotanto padre) ))

babaz (ha votato 10 questo disco) alle 12:48 del 26 ottobre 2010 ha scritto:

Ai Fugazi 5 sempre e comunque!!

NathanAdler77, autore, alle 22:46 del 26 ottobre 2010 ha scritto:

Il vostro capitano si trasforma irrimediabilmente in Gerrard quando ci giochiamo contro, Don... Codesto, "Repeater" e "Steady Diet Of Nothing" album grandiosi (appena inferiore la Medicina Rossa): Fugazi immensa band dai valori & coerenza coriacei, oltre che detentori di un suono post-hardcore unico. Caterina gran donna "Sweet And Low" da esportazione, non ho mai avuto dubbi.

Bellerofonte (ha votato 9 questo disco) alle 11:26 del 22 novembre 2010 ha scritto:

Onestamente non saprei dire quale tra questo e Repeater sia meglio. 9,5