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R Recensione

8/10

Gazebo Penguins

Legna

Si fa sempre in tempo a cogliere l’attimo. Come quando osservi una vecchia polaroid, e mentre distogli lo sguardo noti nell’angolino quella pulce del tuo fratello minore – figlio infame degli anni ’90, ça va sans dire – sbrindellare il pupazzo preferito della tua infanzia, che tua madre ha poi fatto opportunamente sparire per evitare la giusta vendetta che avresti esercitato nei suoi confronti con cattiveria inaudita. Oggi sei grande, e le maniere forti non ti servono più, anche perché la pulce del tuo consanguineo si è gonfiata a dismisura in palestra mentre tu ti trastullavi in salotto coi tuoi cd o arrancavi nella corte spietata a una ragazza d’altri tempi (le ragazze a quei tempi erano tutte d’altri tempi). Ma l’angolino di quella polaroid ti fa ribollire il sangue, e c’è solo una cosa da fare, oggi, adesso: accendere lo stereo e stordire il laido fratello a forza di legnate. Magari mentre coltiva il suo orto su facebook, o videochatta coi pantaloni sbottonati. Se non ti sei ancora procurato Legna, può bastare una riga sulla moto che tiene in garage accanto alla tua vespa. Oh si, si fa sempre in tempo a cogliere l’attimo.

Che poi io nemmeno ce l’ho un fratello minore, ma ascoltando gli otto pezzi che compongono Legna, i loro sanguinosi tellurici epiloghi, il loro evocare immagini sbiadite che si risolvono quasi sempre in stritolanti sfuriate, beh, giuro che lo vorrei, per vendicarmi a scudisciate hardcore e trascinarlo ai concerti dei Gazebo Penguins.

C’è una sorta di consapevole frizione tra forma e sostanza della band emiliana. Provenienti dalla provincia modenese-reggiana, tra Zocca e Correggio (vi ricorda qualcosa?), i tre Pinguini del Gazebo possiedono una ragione sociale lucidamente ridicola, adottano nomi d’arte non da meno (Capra, Piter, Sollo), si prendono tacitamente in giro in prima di copertina, e stampano un lungimirante “Lascia l’ascia Accetta l’accetta” su seconda e terza. Se non bastasse, il packaging (artigianale, numerato, e bellissimo) contiene un poster a foggia di locandina cinematografica che ritrae i nostri eroi nel bosco, abbigliati da taglialegna, con tanto di motosega, barbe finte, camicie di flanella. Superate le apparenze, il contenuto nudo e crudo di Legna è tutt’altro che giocoso: al di là di una folgorante miscela di post-hardcore, screamo e sprazzi di math-rock, il contenuto delle liriche – in italiano, dopo gli esordi in un inglese, parole loro, maccheronico – è una continua straziante apologia del ricordo, un inno sbavato di malinconia lacerante e di pallidi ricordi bruciati nel camino.

Un urlo raggelante dopo aver perso il Tram Delle Sei, la cacofonia martellante e insofferente della velocissima Dettato (un testo che alcuni di noi dovrebbero mandare a memoria, eheh), la nostalgica, anthemica Senza Di Te, in cui un tappeto di distorsioni è impreziosito dalla voce più unica che rara di Jacopo Lietti (Fine Before You Came), un’istituzione che è già leggenda in questi territori. A me potrebbe bastare. E invece in questi bollenti ventitre minuti, registrati magistralmente da un enorme Francesco Burro Donadello (Giardini di Mirò), c’è spazio per molto altro. Le contaminazioni quasi funky di Frate Indovino, un impossibile connubio tra i Primus e i Beastie Boys che si capovolge in un finale di sciabolate ai limiti del prog metal, lo sfarfallio elettrico e il drumming incosciente di Troppo Facile, le geometrie sghembe di Ci Mancherà, i due minuti di bombardamento nucleare di Cinghiale, violentissima, ossessiva e a suo modo geniale. 300 Lire, infine, chiude il disco, giusta e sbiadita come la polaroid di cui si diceva all’inizio, fumosa eppure indelebile, un ricordo che non torna nemmeno se evocato.

Legna è disponibile in cd pregevolmente confezionato e in free download, dunque non ci sono più scuse: se non avete un fratello, inventatevelo. E vendicate il pupazzo sbrindellato urlandogli il vostro disappunto mentre brandite birra calda in un bicchiere di carta. Lui se ne fregherà, e voi mortificati premerete repeat sul telecomando, continuando a distogliere lo sguardo dall'angolino scolorito che vi fa andare avanti, e vi riempie la vita.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 6 voti.
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ciccio 7/10

C Commenti

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REBBY alle 9:13 del 16 giugno 2011 ha scritto:

"lascia l'ascia e accetta l'accetta"

I più stagionati probabile che se lo ricorderanno, per gli altri questo "lungimirante" motto è una citazione di 30/40 anni fa di una striscia del mitico Jacovitti.

stefabeca666 (ha votato 7 questo disco) alle 9:24 del 16 giugno 2011 ha scritto:

A me piacciono ma li trovo molto poveri rispetto ai FBYC (i testi non sono assolutamente al loro livello). Coumunque spaccheno, son bravi a suonare e sono pure simpatici.

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 10:44 del 16 giugno 2011 ha scritto:

Bellissima recensione, Daniele. Loro grande gruppo. Questo gran disco. Tante influenze e tutte manifeste, ma che gusto, che trame, che canzoni. Dal vivo sono molto simpatici e parecchio bravi a suonare. La seconda parte di "Frate Indovino" è la mia preferita

tramblogy alle 11:58 del 16 giugno 2011 ha scritto:

Ma se fai sempre in tempo a cogliere l attimo non e' più fuggente...

Che attimo e' allora?ghgh

bargeld, autore, alle 12:53 del 16 giugno 2011 ha scritto:

@Rebby: beh io un po' stagionato lo sono, di Jacovitti avevo il diario alle medie con la suddetta massima in copertina (mica in terza e quarta), il mio compagno di banco ci sbavava dietro a quelle intramontabili tettone eheheh! è lungimirante perchè prevede una saggia politica di gestione delle risorse ghghgh

@Marco: grazie per i complimenti. sulla parte finale di Frate Indovino, francamente, sei la prima persona a cui ho pensato!

@tramblogy: è lì il bello!

REBBY alle 8:43 del 20 giugno 2011 ha scritto:

"...io un po' stagionato lo sono..."

Ma non come me, Daniele. Io di Cocco bill, quello che pronunciò il lungimirante motto rivolto ad un indiano, ricordo i cavalli, le pistole e i salami, non le tettone. Ma il tuo griffato diario era dedicato senz'altro anche ad altre striscie di Jacovitti... Venendo ai Gazebo penguins IMHO, saranno simpatici e spaccheranno (legna ghgh), ma ci vuole molto , ma molto, patriottismo per considerarli gli autori di uno dei migliori album di quest'anno. Accetta l'accetta e lascia l'ascia eheh

stefabeca666 (ha votato 7 questo disco) alle 9:05 del 20 giugno 2011 ha scritto:

Anche perchè sono sfortunati, fino ad ora il 2011 ha tirato fuori dal cilindro una quantità di disconi alla quale, almeno personalmente, non ero abituato.

bargeld, autore, alle 10:34 del 20 giugno 2011 ha scritto:

"Ma non come me, Daniele."

Questo mi pare onestamente fuor di dubbio eheh! Beh si Rebby, considera che un diario per un maschietto delle medie poteva tener conto di due parametri: l'umorismo e i pruriti adolescenziali! Non aveva certo velleità culturali di nessun tipo (e d'altronde i kamasutra di Jacovitti erano specchio troppo grosso per allodole troppo numerose!). Sul disco, boh, sarà la solita noiosa questione di gusti. Posso dire che è uno degli album affrontati quest'anno che viene più penalizzato dall'ascolto al computer, tanto è ricco di armoniche, profondità, sfumature. Per dire, appena scaricato, l'ascolto al pc mi ha lasciato freddino e anzi un poco deluso. Per il resto, come dice Marco, tante influenze e tutte manifeste, controtempi da cardiopalma, chiuse finali da pura catarsi, empatia indissolubile di testo e musica. Per non parlare di una padronanza tecnica stupefacente (e l'hardcore non è certo il prog) e, perchè no, della franchezza e la gioia nel porsi all'ascoltatore. Ammettendo pure sullo sfondo un filo di patriottismo, ecco uno dei migliori album dell'anno, del 'mio' anno ovvio!

Lezabeth Scott (ha votato 6 questo disco) alle 13:11 del 21 giugno 2011 ha scritto:

Cariiiiini loro, piccoli...niente male.