Mile Me Deaf
Holography
Austriaci come lo strudel, i Mile Me Deaf sono alla seconda prova di lunghezza, dopo Eat skull del 2012 e alcuni EP prodotti qui e là. Holography, lo dice il titolo stesso, è un disco che ha qualche attinenza con lolografia, quella branca della fisica che indaga la tridimensionalità tramite i raggi laser. Regna sovrano in Holography il post-hardcore e il grunge, con lampi di elettropop, antifolk e post-rock. E la line-up è la stessa degli ultimi anni con laggiunta di otto musicisti che danno una mano quando possono. Persino in copertina il frontman Wolfgang Möstl intende falsificare la leggendaria Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band dei Beatles, inserendo nel collage personaggi ridicoli, comuni o, nella migliore della ipotesi, estranei a qualsivoglia contesto (da Syd Barrett a E.T., Ringo Starr, Lassie, Macho Man, Lady Gaga, Reinhold Messner e Gelsomina).
Lalbum comincia dalla ballata dark di Shiver, un pezzo che ha nella ripetizione melodica il suo tratto distintivo, assieme a scampanellii vari e ad un riff di chitarra eseguito con la Home Swinger a dodici corde di Yuri Landman. Si prosegue sulla scanzonata vena hippie di Artificial, traviata da infiltrazioni ronzanti e da rumori prodotti da Martin Siewert, musicista sperimentale austriaco. In Macrosleep la bassa fedeltà della registrazione casalinga tipica dei Mile Me Deaf torna a farsi sentire con forza in un pezzo perlopiù folk che parla di escapologia e di menate simili. Science fiction 1998, volutamente sci-fi, prende spunto dalla saga di videogiochi Resident evil, venendo a formare una traccia fortemente homemade. Diversissima la questione per Out of breath at ego death che, seppur noiseggiante, è registrata bellamente in studio e contiene in coda una poesia di Maya Angelou.
Lo-fi allo stato puro in Domestics, canzone evidentemente scritta durante un forte attacco di emicrania e registrata dopo unaltrettanto devastante sbornia; Motor down, in stile Smashing Pumpkins, è un brano che nelle sue chiusure noise ruba a piene mani dagli Einstürzende Neubauten; Gold kid nasce invece in una di quelle giornate noiose grazie ad un synth e ad una suoneria di cellulare, attingendo apertamente dai Liquido. Dopo War bonding, minimale quanto artigianale, True blood (con Rudolf aka Rudi aka Dolph alla batteria) e Cryptic boredom rites, cacofonica e perturbante, il disco termina con Third from the sun, una delle ballate meglio riuscite dalla band viennese.
Terminato lascolto del disco si sente lurgenza di una boccata daria fresca, duna botta di ossigeno puro, insomma di qualcosa che riporti il cervello al suo status naturale. Si resta realmente perplessi di fronte ai Mile Me Deaf: certi di aver ascoltato qualcosa di nuovo, non sappiamo se sia qualcosa di buono.
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