R Recensione

6/10

Antelope

Reflector

All’indomani dello scioglimento dei Supersystem, operato per mano di Pete Cafarella per potersi dedicare a tempo pieno in quel di New York al progetto Shy Child, in molti pensarono ad un pensionamento anticipato per Justin Moyer, l’altra colonna portante del gruppo washingtoniano.

E così ecco tutti i riflettori puntare sul fortunato terzo album ‘Noise Won’t Stop’ degli Shy Child, nient’altri che Cafarella al synth e voce e il batterista Nate Smith, album ‘col botto’ che sta riscotendo notevoli consensi non solo di critica ma anche commerciali, soprattutto in Inghilterra.

I più maligni (o smaliziati?) parlano di un disco che si pone sulla scia del cosiddetto new-rave, posizionandosi al nastro di partenza tra le leve del genere giovanilistico quali Shitdisco e Klaxons, i più discorrono invece di un album bollente, pronto a esplodere su tutte le piste da ballo più indie-oriented, se non entro l’estate sicuramente in inverno (si sa che le cose in Italia impiegano sempre un po’ di tempo ad arrivare) e in fondo, chi avrebbe più diritto dei membri dei Supersystem a passare riscuotere gli onori di questa ondata? Le radici di quel suono non sono forse già tutte in dischi come ‘Always never again’ e ‘A million microphones’?

In ogni caso, a nessuno sembrava fregargliene di Moyer, rimasto nella fredda capitale statunitense, e in molti se lo immaginavano intento a bestemmiare di invidia nei confronti dell’ex-compagno di minuscoli palchi salito agli onori della cronaca.

Ma non avevamo fatto i conti con la verve carismatica del personaggio, non certo propenso a piangersi addosso.

Un indizio di quello di cui può essere capace in solitario può venirci dall’alter-ego di warholiana memoria in salsa transgrender Edie Sedgwick, con il quale il nostro fece uscire nel 2005 ‘Her love is real…but she is not’, un album a dir poco fenomenale pubblicato dalla DeSoto records, che, pochi lo ammisero allora, superò di gran lunga ‘Always never again’ dei Supersystem uscito quasi in contemporanea.

Aggiungiamo pure che a supportare l’uomo troviamo Ian MacKaye in persona e la sua Dischord, che solo a nominarla bisognerebbe sciacquarsi la bocca, ed ecco da dove esce questo inaspettato ‘Reflector’ (che il titolo voglia mandare un messaggio a qualcuno?) a nome Antelope, band già conosciuta per due sporadici ep pubblicati qualche anno fa, costituita, oltre a Moyer, da Bee Elvy e Mike Andre, membri nei Vertebrates.

La cosa che risalta subito è la produzione di MacKaye, che si riflette soprattutto nella sobrietà del disco, a partire dalla durata di appena venticinque minuti: quasi assenti gli overdub e gli interventi di studio, forte ricerca di una melodia pulita che, con l’ausilio di formule incentrate sulla ripetitività, unisca un senso di tensione ad un’atmosfera ovattata e minimale, quasi povera, un po’ come nei due album degli Evens, con i quali non mancano punti di contatto.

In brani come ‘Dead eye’, ‘Justin Jesus’ e ‘Collective dream’ sembra di sentire i Supersystem ‘sgrassati’ dell’energia in eccesso ed educati a non lasciarsi andare, acquistando così un fascino freddo e malato; voci salmodianti e suoni magnetici si rincorrono nelle minimali ‘Reflector’ e ‘Flower’; richiami esotici vengono alla mente nel post-punk cantilenante di ‘Mirroring’; mentre gli episodi migliori sono ‘Wandering ghost’ e ‘Concentration’: con il loro basso gonfio a rimbalzare sulle pareti cucite all’uncinetto da una dispettosa chitarra, e Moyer a declamare distaccato testi acuminati, sembrano dei Q and not U era ‘Power’ afflitti dallo spleen.

Rimane una ‘The demon’ che sembra un estratto del repertorio degli El guapo, a confermare infine il fatto che gli Antelope esprimono la faccia oscura, l’armadio chiuso a chiave nella soffitta, del suono Supersystem, laddove gli Shy Child hanno ereditato la faccia muscolosa e anthemica.

In ogni caso, se non per un riferimento, in questa recensione si è preferito non nominare il nome El Guapo, il ceppo da dove tutto quello di cui si è parlato ha avuto inizio.

Nel caso non li abbiate mai sentiti, procuratevi ‘Fake french’, anno di grazia 2003.

Se già lo conoscete, andatevelo a rispolverare.

È già tutto lì dentro.

E non avrete bisogno nè di Antelope, nè di Shy Child, nè di Supersystem.

V Voti

Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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