R Recensione

5/10

Ayreon

01011001

Lo ammetto: fino a poco tempo fa non conoscevo Arjen Anthony Lucassen, polistrumentista olandese noto per l’amore verso il fantasy, nonché per una certa megalomania di fondo nel registrare i propri lavori in studio (passioni, lo vedremo, ambedue collegate fra loro). Non ero a conoscenza dei suoi trascorsi discografici, seppure imponenti e non facili da aggirare, né avevo mai avuto la (s?)fortuna di ascoltare la sua miscela di prog rock d’antan, heavy metal, folk a lenta stagionatura e polverose aperture sinfoniche.

Quasi per caso, dunque, mi sono imbattuto in questo “01011001”, ottavo album in studio del Nostro ed ennesimo capitolo di una personalissima saga iniziata ormai più di dieci anni fa (ebbene sì, non solo i Coheed & Cambria hanno ancora la voglia di inscenare queste epopee), che narra delle peripezie di un popolo fantastico (i Forever), dei suoi apocalittici scontri con i terrestri (…ma va?), delle sorti toccate ai vari protagonisti e via dicendo. In particolare, “01011001” (la “Y” in alfabeto ASCII, come il pianeta dei Forever) si incentra sulle fantascientifiche spedizioni che le due reggenze hanno deciso di intraprendere, l’una contro l’altra. Un vero e proprio libro, musicato in tappe.

Il risultato è quindi un’opera rock della migliore –o peggiore- specie, un monolitico doppio cd di quindici canzoni complessive, per quasi due ore di durata totale. Se questi dati vi stanno scoraggiando, siete solo all’inizio. Perché Lucassen, e pare che questo sia un vero e proprio vizio, per ogni nuova tappa dell’epica invita in studio, sia come supporto vocale che per arricchire a dismisura la sezione strumentale, una quantità smodata di ospiti esterni, più o meno famosi e/o quotati. L’avrete già capito, “01011001” non fa eccezione. Qualche nome? Tom S. Englund, Steve Lee, Simone Simons, Anneke Van Giersbergen, Derek Sherinian, Micheal Romeo e decine di altri ancora. Ecco svelato il perché le sue creazioni non vengano mai eseguite dal vivo. Infine, per mettere la ciliegina sulla torta, finiamo col dire che, dentro queste canzoni, sentirete suonare decine e decine di strumenti diversi, dal violino celtico alla chitarra elettrica, dal basso al banjo, alle percussioni, alla chitarra acustica, ai sintetizzatori, al pianoforte, eccetera. Un maelstrom sonoro.

Con plurimi dubbi al riguardo dell’effettivo valore dell’album (troppo tutto, non vi pare?), e considerando ciononostante gli incensi profusamente dispersi in altre recensioni, ho affrontato l’ascolto di questi centodue, interminabili minuti.

Il risultato? Prevedibile.

Prevedibile, perché questo concept nel concept è esattamente come l’avevo immaginato: magniloquente, pomposo, eccessivamente barocco, ricchissimo di variazioni strumentali, ritmiche e canore ma, ahimè, davvero troppo, troppo lungo.

Il primo cd (“Y”) si lascia ammirare più per l’intenzione e l’enorme quantità di carne messa al fuoco, che per il risultato finale. Mixaggio eccellente, pulizia ed massimizzazione sonora a livelli eccelsi, prestazioni singole invidiabili e ben coordinate le une con le altre. Dove sta dunque il problema? La sensazione è che una maggiore cernita dei pezzi, ed un diffuso taglia e cuci in più punti del prodotto avrebbero prodotto, oltre che un efficace snellimento del tutto, anche una più ampia valorizzazione di ogni singolo elemento, oltre ad una minore dispersione. Accanto alle classiche, lunghe suite di oltre dieci minuti, tipiche del prog (l’iniziale “Age Of Shadows”, con continua alternanza di chitarroni pesanti e immersioni intimistiche, il terribile power metal orchestrale di “Beneath The Waves”) si trovano episodi decisamente meno grevi e sofferti, come il folk boschivo di “Newborn Race”, soffocato solo successivamente da un’inutile accozzaglia di tastiere e sintetizzatori, e la soffusa elettronica di “Comatose”. Si può dire, in generale, che gli episodi migliori sono quelli in cui Ayreon e compagni spingono maggiormente sull’acceleratore (“Ride The Comet” e “Web Of Lies”, non a caso i più brevi del lotto!). Sufficienza.

È con l’avvento del secondo cd, “Earth”, che la situazione rischia di compromettersi in modo definitivo. Lucassen, non pago di quanto già inciso, decide di appesantire ulteriormente le sezioni strumentali: ecco arrivare il gothic metal apocalittico di “Unnatural Selection”, davvero eccessivo sia nei blocchi che nelle ripartenze, per arrivare al madrigale di “River Of Time” (parecchio simile a “Newborn Race”…) e finire con due macigni sonori come possono essere le suite “The Earth Extinction” e “The Sixth Extinction”, sempre a metà fra prog, incursioni metalliche ben poco incisive, folk, elettronica e sinfonie chiesastiche, sovrabbondanti di tutto e che, alla fine, dicono poco o niente. Si salva, a mio avviso, solo “E=MC²”, che presenta un ottimo assolo di chitarra da parte di Micheal Romeo dei Symphony X. Netta bocciatura.

Stucchevole, visionario, apocalittico, vuoto: etichettatelo come volete, ma credo che non dedicherò altri ascolti a questo “01011001”, consigliato solo ai maniaci del prog in tutte le salse, forme e stampini. Un paio di pezzi in meno, e avrebbe raggiunto la sufficienza: così, invece, rimarrà il solito concept ambizioso che deficita di effettiva sostanza.

Certo, se magari Lucassen decidesse di tirarne fuori qualcosa di cartaceo…

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Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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TheManMachine (ha votato 6 questo disco) alle 0:37 del 20 febbraio 2008 ha scritto:

Chi troppo vuole...

Marco, la recensione, è come sempre molto esaustiva e si legge gradevolmente. L'album è alquanto diseguale, ci somo momenti interessanti, come "Comatose", "Connect the Dots", "Web of Lies", ma l'eccessiva commistione di stili e addirittura di generi disorientano l'ascoltatore che si aspetterebbe un disco tra prog ed heavy metal e poi si trova invece di fronte finanche a scivoloni sul versante del pop più scontato. Molto d'accordo, quindi, con la tua analisi e il tuo giudizio sul valore (non eccelso) di quest'opera.

Mirko Diamanti (ha votato 5 questo disco) alle 15:44 del 20 dicembre 2011 ha scritto:

Concordo in tutto e per tutto col recensore, a cui consiglio l'ascolto di "The Human Equation", dove l'ambizione di Lucassen trova un' ottima corrispondenza con la sostanza (che qui latita parecchio), in un disco non esente da difettucci ma di gran lunga superiore a questo. Qualcuno gli ha dato un'orecchiata?