R Recensione

8/10

Lesbian

Power Hor

Il genere metal, troppo spesso tacciato di cieca e cocciuta adesione ad una matrice socio-culturale retriva e conservatrice, si è invece dimostrato uno dei più solerti e recettivi all’evoluzione e alla contaminazione delle proprie caratteristiche formali. La genia di parentele e filiazioni musicali che da esso in qualche modo derivano s’è mantenuto, nel corso degli ultimi trent’anni, costantemente fluida e praticamente sterminata. Ultimamente c’è chi ha puntato forte su soluzioni di facile effetto e di immediato riscontro commerciale (le assidue frequentazioni con il rap, il grunge, la dark wave e l’industrial meno ostico) e chi invece s’è avventurato oltre le colonne d’Ercole della musica estrema (il grind, lo sludge, il metal-core, il neo progressive, il drone) scegliendo apertamente di condividere un destino di alienazione mediatica e di relativa oscurità.

I Lesbian, quartetto di Seattle attivo dal 2004, al loro debutto con Power Hor (Holy Mountain, 2007), sembrano già lanciati ben oltre i pericolosi tornanti di quest’ultima strada, forti di un approccio quasi enciclopedico al dilemma dello stile e di una determinazione intellettuale “settantesca”, per così dire, di andare oltre la classica forma-canzone. Echi di siderurgia psichedelica pre-doom (più Pentagram che Black Sabbath) si fondono con fraseggi progressivi a làKing Crimson per poi essere deformati da arieti o catapulte sonore black/thrash (Bathory e Celtic Frost) onde fiondare brucianti asteroidi verso la post post modernità, facendoli atterrare in prossimità dei crateri scavati dai bradisismi strumentali di Pelican, Boris o Kylesa.

Ad una tale barocca, intricata complessità di architetture musicali corrisponde una limpida simmetrica plasticità nella costruzione interna dell’opera: 61 minuti ripartiti in tre lunghe suite, una delle quali è spezzata in due movimenti che fungono da proscenio e sipario in apertura e chiusura;i brani centrali invece sono disposti secondo la figura retorica del chiasmo, in modo da presentare al loro interno un’opposizione speculare delle partiture ritmiche e melodiche.

Precisazioni, queste, che magari non richiameranno a frotte gli amanti dei tre accordi giusti in tre minuti scarsi ma che certamente cominciano a delineare i contorni dell’altrove fiabesco e preraffaellita affrescato dai Nostri. Black Forest Hamm attacca col passo lento e minaccioso d’un mezzo cingolato, mentre la voce vi fa irruzione come un gigante malvagio che devasta le accoglienti cittadine di campagna nelle storie dei fratelli Grimm, chiamando in causa Venom, Darkthrone ed altre eminenze nere; che ci sia un’insolita compostezza e un dominio assoluto delle componenti linguistiche lo si capisce dal break centrale: un arpeggio psichedelico su un tempo “jazzato” in sedicesimi introduce un lunghissimo granitico bridge che culmina e termina la composizione, ivi i due chitarristi McInnis e La Rochelle rubano la scena operando una fusione a freddo della ritmica “a zanzara” tipica del black con assoli neo-classici o vertiginose bordate thrash.

Nell’arco dei tre minuti di drone iniziali Powerwhorses raffigura efficacemente la disperazione e il sollievo che segue al passaggio di un uragano, una ricognizione dall’alto e in soggettiva delle macerie che sommergono la “terra di mezzo”. Quindi comincia la cavalcata, sghemba e malsicura su tempi dispari, lacerata da continue fratture ritmiche in cui brillano grumi velenosi di scuola Canterbury; la tensione monta progressivamente nella seconda parte (più di 9 minuti), articolata su una studiata, solenne alternanza di arrampicate doom e improvvisi baratri di gravità ritmica in cui si rapprendono ragnatele vischiose di basso e chitarra che attutiscono la caduta.

Loadbath è di gran lunga la cosa più bella dell’intero album, 24 minuti di evanescenze sonore, un impasto di polifonia subliminale fra Wishbone Ash e Godspeed You Black Emperor, un’Arcadia restaurata nell’era della riproducibilità tecnica e proiettata contro le porte dell’Ade. Fa eccezione la parte centrale in cui l’urlo ferino di Hodous rompe l’incantesimo ricordandoci come, nelle infinite e contemporanee possibilità di aggregazione dell’energia in materia, la ferocia può essere composta dalle stesse molecole della leggiadria. Irreversible è l’altra faccia di Black forest hamm, black metal guerresco che si frantuma in neo-danze pagane, ora lente, ora frenetiche; l’ucronia di un medioevo sepolcrale al seguito di un futuro ingannevole e venturo (anche dal punto di vista musicale).

Sensibilità onnivora e mutante, padronanza tecnica e abbacinante reviviscenza atmosferica vanno di pari passo in questa ragguardevole opera prima.

P.S: Nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo, i componenti del gruppo sono tutti maschi e il nome, più adatto forse ad una gang di riotgrrrl del mid-west, secondo la loro versione ufficiale dovrebbe esprime soltanto “la carica di libertà sessuale che è da sempre parte della musica rock”. Dopotutto, aggiungono con ironia, “i nomi più fighi tipo Venom, Black Sabbath e Pentagram erano già stati presi”.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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REBBY 6/10

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