Porcupine Tree
Fear Of A Blank Planet
Lo aspettavamo al varco, Steven Wilson.
Lultimo lavoro dei suoi Porcupine Tree, Deadwing, era datato 2005, e aveva fatto gridare allo scandalo mezza critica mondiale abituata a pane e prog rock. Nessuno, o quasi, aveva infatti capito perché il frontman dei porcospini avesse deciso di abbandonare le inconfondibili, espanse sequenze floydiane (a temperatura progressiva, of course) per una più canonica forma/canzone che, qua e là, andava ad abbracciare addirittura i territori dellhard rock o del (!) grunge radiofonico (si pensi solamente a brani come Lazarus e Shallow). Ed erano stati molti i fan delusi, come molte le persone che, invece, avevano difeso a spada tratta i segnali del nuovo corso intrapreso dei Porcupine Tree.
Ora, Wilson è tornato. E, certamente, non avrà gradito granché il clamore che il vento della morte aveva innalzato attorno a sé. Perché, a detta di molti, questo nuovo Fear Of A Blank Planet è, in tutto e per tutto, un nuovo, grandioso, epico disco dei PT. Senza compromessi, senza troppe variazioni stilistiche, senza scelte coraggiose che potessero passare per abuliche. Solo loro, con i loro strumenti e con il loro carisma. E con un nuovo, importantissimo bagaglio di esperienza, decisi a non ricadere negli errori del passato prossimo.
Ma tutto ciò, se mi passate cordialmente il termine, sa un bel po di bruciato.
Battezzato con un evidente omaggio ai Public Enemy e al loro Fear Of A Black Planet del 1990 (anche se, a detta di Wilson, il titolo dovrebbe richiamare alla mente le nuove generazioni giovanili, ipnotizzate dai mass media ed incapaci di pensare con la propria testa), questo nuovo full-lenght dei Porcupine Tree delude le bibliche aspettative in modo eclatante. Scordatevi lavori che siano al pari, o anche semplicemente minimamente vicini, al valore di opere come In Absentia o di On Sunday Of Life: questi sono cinquanta minuti di manierismo e tecnica fine a sé stessa, dove ogni membro della band, nel terrore di ricadere nella spirale viziosa del precedente Deadwing, si inventa qualsiasi virtuosismo possibile pur di evitare che indugi la noia. Impresa, fra laltro, nemmeno del tutto riuscita, in alcuni passaggi.
Chiariamo subito una cosa: sebbene l'introduzione avesse lasciato presagire chissà quale orrore, Fear Of A Blank Planet non è un brutto disco. Solo, è un cd decisamente al di sotto delle aspettative di chi scrive e di molti altri ascoltatori. I Pink Floyd spariscono sempre maggiormente dalle influenze dei quattro britannici, e vengono sostituiti da suoni molto più metallici e rimbombanti, nel timbro e nellimpostazione. Il vero, grande problema, è che i Porcupine Tree non sono nati per essere una band thrash metal, bensì hanno un genoma molto più raffinato e ricercato che riporta i marchi dei signori gruppi sopraccitati-. E ciò, può essere un handicap fatale.
Gli episodi felici ci sono, è chiaro: come non partire dalla magnifica suite Anesthetize, che in diciotto minuti riesce a concentrare al suo interno il caramello pop con le nebbiose brughiere new wave, con la psichedelia più raffazzonata, con il progressive più classico, con lambient più ricercato, con il metal più duro e tecnico (a questo proposito, sentirsi il favoloso passaggio di doppio pedale regalatoci a cavallo fra gli undici e gli undici minuti e mezzo)? Limpressione complessiva che si ha alla fine, però, è che Wilson e soci ci abbiano solamente voluto mostrare un assaggio della loro bravura a suonare vari tipi di generi musicali diversi, senza per questo preoccuparsi di dare un senso al tutto, abbandonando tanti, piccoli, bellissimi tasselli di un meraviglioso puzzle irrisolto. Freddezza, in altre parole.
I dubbi ci sono, rimangono, e si moltiplicano durante lascolto: che senso ha, ad esempio, dopo tutte le critiche ricevute con Deadwing, comporre un pezzo come la title-track? Stessa andatura, stesse linee vocali, stessi ripiegamenti ritmici, stesse aperture melodiche, solo le percussioni trascendono da quella che potrebbe essere una bella, ma non certo indimenticabile, composizione prog. E come discorrere di My Ashes? Lidea cè e piace: dopotutto, risentire dopo un po di tempo il cosmic rock barrettiano allinterno delle idee della band fa sempre molto piacere. Ma perché, poi, si decide di confondere il tutto con unapertura di archi melensa, barocca e, a dirla tutta, perfettamente inutile? Da quando in qua i Porcupine Tree sono diventati le nuove star del dream pop?
Sfoghi e perplessità varie a parte, alcuni episodi del disco alzano una media un po troppo compromessa, e lo fanno adagiare su una sufficienza calma e senza pretese. Sentimental è la bandiera di questa nuova, insospettata indifferenza compositiva. La trama pianistica, sulla quale si srotola un flusso di soffocati mid-tempi progressive, accompagna armoniosamente la voce, lontana e malinconica, del leader dei porcospini.
Con un occhio di riguardo alla crimsoniana Way Out Of Here, con il suo ritornello elettrico ed avvolgente, ed evitando volutamente di menzionare lorrenda, conclusiva, Sleep Together, consegniamo alloblio della storia del rock un altro, mancato capolavoro. Per ora, è un disco: speriamo che ventanni di onorata e splendida carriera non vengano gettati alle ortiche in così poco tempo, per così poco. Sufficienza sì, ma con riserva.
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