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R Recensione

6/10

Spiral Architect

A Sceptic’s Universe

Lo scopo primario della musica è quello di trasmettere emozioni. Certo, ci vuole una buona dose di applicazione, un certo gusto compositivo, una minima varietà stilistica, una discreta capacità di spaziare in più generi, senza per questo perdere il controllo delle proprie azioni. E, per i più bravi, anche un accenno di originalità sarebbe la carta vincente.

Tutto questo svanisce nel nulla, però, se non si riesce a catturare i sentimenti dell’ascoltatore, se questa è tutta una macchinazione per nascondere un fragilissimo nucleo emotivo, se, come si suole dire, non è certo tutto oro ciò che luccica.

Gli Spiral Architect sono bravi: sono dannatamente, incredibilmente bravi. Provengono dalla Norvegia –storica foriera di talenti inscindibili- e le loro abilità tecniche sono spaventosamente fuori dal comune: sia che si tratti di Øyvind Hægeland, già Arcturus e uno fra i cantanti più dotati negli ultimi vent’anni, sia che si tratti di Lars K. Norberg, impressionante bassista dalle chiare influenze death, velocissimo e dallo stile incredibilmente intricato, sia che si tratti ancora di Asgeir Mickelson, un vero e proprio tornado alla batteria, un metronomo impazzito senza regole e senza dettami ritmici.

Gli Spiral Architect fanno technical metal, una – ristretta – derivazione diretta del progressive che dà importanza ai virtuosismi e alle districazioni sonore più sconnesse e irregolari. Questo per farvi capire che, senza un minimo di allenamento, non potrete mai e poi mai riuscire ad ascoltare questi cinque.

Gli Spiral Architect sono pieni zeppi di idee che, seppur già battute e musicate, sono rilette con un gusto del tutto originale e personale. I loro maestri portano i mastodontici nomi di Cynic (uno fra i gruppi death metal/jazz fusion più importanti degli anni ’90, grazie a quel capolavoro inarrivabile di “Focus”, datato 1993) e Psychotic Waltz, gli ingarbugliati maestri del prog metal made in psichedelia made in space rock e made tutto quello che volete. Ma se pensate di avvicinarvi a questo “A Sceptic’s Universe” cavandovela con due o tre nomi di riferimento ed un’aria svagata sulla faccia, della serie “presumo sarà bello”, cancellatevelo completamente dalla mente. Questo approccio può andare bene solamente dopo una ventina di ascolti. Il primo impatto, se non si è pronti, può essere devastante, e non nell’accezione più positiva del termine.

Gli Spiral Architect, da musicisti competenti quali sono, si sono accontentati di registrare solamente un lavoro, proprio questo “A Sceptic’s Universe” del 2000, al quale hanno lavorato per più di due anni, per poi vivere di rendita – e la situazione è in stallo ancora adesso –. Il perché, è presto detto: il disco in questione, infatti, non vanta solamente una bellissima copertina, ma anche nove brani – dieci con la bonus track dell’edizione giapponese – che cercano di scavalcare ogni possibile confine sonoro mai tentato in precedenza. Nove strie fiammeggianti che puntano sulla più completa e sbalorditiva distruzione della forma/canzone: non esistono ritornelli, non esistono motivi fischiettabili, non esiste nemmeno una cadenza definita che consenta, in minima parte, di ricordare alcuni passaggi stilistici.

Gli Spiral Architect vogliono confondere, liberarsi da ogni minimo vincolo e, nello stesso tempo, razionalizzare ogni più piccola nota, in modo da non lasciare nulla al caso (la loro musica è autodefinita “controlled anarchy”). Che si tratti dell’opener, la futurista “Spinning”, dove è un continuo divampare di stacchi e controtempi vari e dove, nel terremotante finale, Hægeland riesce ad inventarsi un falsetto completamente dissonante con il limaccioso tappeto sonoro creato dalle rapide dita di Norberg. O delle dilatazioni, liquide e gorgoglianti, di jazz fusion stralunato e vagamente psichedelico (“Veil Of Maya” dei Cynic docet) della successiva “Excessit”, dove il tutto assume connotati ancora più mistici ed alienanti, mentre il basso si esprime in tonalità sempre più alte – spesso e volentieri sovrasta i feedback delle chitarre! –. O ancora, delle sciarade ritmiche che eruttano prepotenti nell’eburnea scacchiera prog di “Moving Spirit”, un vero e proprio inno alle elaboratissime armonizzazioni dei cinque architetti, fondamentale per chi vuole capire qualcosa in più della loro attitudine.

Gli Spiral Architect amano tutto ciò che meno si può avvicinare allo schema di “terrestre”. Hanno una naturale predisposizione per le timbriche fredde, metalliche, proiettate nello spazio e nel tempo. Quindi, l’intermezzo fantascientifico di “Occam’s Razor”, un’ideale soundtrack per il filone di Star Wars, apre le secche e frugali sparate elettroniche della vessante “Insect”, un continuo default cibernetico, che suona più o meno come se avesse contratto un terribile bug ed ora si stesse contorcendo, in preda a continui ed inconsulti sconquassi.

Gli Spiral Architect, però, non creano solo partiture ingarbugliate e marasmi cromatici non bene definiti: quando c’è da spingere il piede sull’acceleratore, lo fanno, anche se questo implica perdere un po’ di rigore compositivo. Il nuovo corso è “Conjuring Collapse”, una scudisciata di post-core in salsa prog, dalle ritmiche velocissime ed incalzanti e dagli avvicendamenti vocali repentini e radicali, quasi irritanti nell’incredibile facilità con cui vengono eseguiti.

Tutti felici e contenti, dunque? Cd eccellente, meritevole dell’acquisto, pietra miliare dell’ormai abusatissimo Nuovo Millennio? No.

La chiave che rivela la reale natura dell’album è proprio quella copertina, già citata in alto. L’uomo al centro della scena, i cerchi concentrici che si dipanano verso l’esterno, ma soprattutto quel colore azzurro, gelido nella sua staticità magnetica. Perché “A Sceptic’s Universe” è un disco egocentrico: ogni componente del gruppo cerca di prevalere sull’altro, sembra quasi una gara a chi riesca a realizzare la migliore contorsione sonora o il controtempo più difficile. Perché “A Sceptic’s Universe” è sì un disco difficile – forse un po’ troppo – ma è, soprattutto, un lavoro freddo, immobile, quasi inutile nel suo florilegio di tecnicismi e acrobazie varie. Certo, qualcuno potrebbe dissentire, e trincerare motivazioni simil-filosofiche dietro queste nove canzoni. Io stesso dico che un ascolto a “A Sceptic’s Universe” è quantomeno consigliato, almeno per comprendere fino a che livelli si possa spingere l’improvvisazione e l’immaginazione dei musicisti.

Ma questo cd è completamente privo d’anima: e senz’anima, non si fa tanta strada, che si sia abili tecnicamente o meno.

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Voto degli utenti: 6,4/10 in media su 7 voti.
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Lux 5/10
B-B-B 7,5/10
Lelling 7,5/10

C Commenti

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simone coacci (ha votato 6 questo disco) alle 14:33 del 14 ottobre 2007 ha scritto:

Tecnicamente incredibili,musicalmente davvero niente male,tutto bene se non fosse per l'insopportabile da "inculato" del cantante che sembra un incrocio fra Klaus Meine (o come 'azz si scrive) e quel maledetto tizio dei Boston (che è pure morto pace all'anima sua). Cari novergesi Clonate James Keenan Maynard e avrete risolto i vostri problemi. Chi non ha problemi, invece, è Marco, molto bravo come al solito.

simone coacci (ha votato 6 questo disco) alle 16:18 del 17 ottobre 2007 ha scritto:

*timbro da "inc..."...in senso metaforico s'intende, non vorrei che Luxuria se la prendesse a male

Lux (ha votato 5 questo disco) alle 19:30 del 10 aprile 2008 ha scritto:

Se me lo ricordo bene...

...non mi piaceva