Mars Volta
The Bedlam In Goliath
Ecco la filiera, in dissolvenza incrociata: cerano una volta gli At The Drive-In, erano giovani, scanzonati, amavano i Rage Against The Machine, lhardcore e i ritmi latini, ma il bel gioco, purtroppo, durò poco, due di loro formano i Mars Volta, il brevetto del prog-core sembra linvenzione del secolo, il nodo gordiano che il nuovo millennio non riesce a sciogliere, eppure non saccontentano, Frances The Mute è un flusso di coscienza ininterrotto che, sotto legida del prog, ingloba praticamente ogni influenza affiorata nei due decenni successivi a questultimo, un contenitore di sottotracce che, prese singolarmente e ridotte a 2/3 minuti, avrebbero potuto fare la fortuna di una decina di gruppi diversi, così invece si fa davvero fatica a vederne la fine, non parliamo poi di Amputechture, tronfio, imbalsamato, estenuante, una specie di cupio dissolvi alimentato dalla loro adamantina vanità strumentale.
Può anche darsi che la situazione sia grave, ma seria, no di sicuro. Il progetto Mars Volta ormai è una nebulosa convoluta nella galassia del post, unastronave che si addentra nelliperspazio della generazione iPod. Le testate che si occupano di musica alternativa non sanno mica più bene quali pesci pigliare: per intanto hanno cominciato a scartabellarli dai servizi di copertina e a trincerarsi dietro effusioni eufemistiche, poi si vedrà. Altra storia invece con la Universal, in quanto a testate pure loro non si possono proprio lamentare, peccato che siano tutte dirette contro un muro: cinque anni fa credevano di avere per le mani i nuovi Red Hot Chili Peppers (Flea e Frusciante, a più riprese, garantivano per loro) ed ora si ritrovano sotto contratto questi King Crimson del barrio che si addobbano come figuranti di Zabriskie Point (capelli cotonati e occhialoni di corno) e sono del tutto incapaci, per giunta, di trattenere la loro incontinente ispirazione.
Se non vi siete ancora accasciati a terra, spossati al solo pensiero, scoprirete che nel maelström di The Bedlam Of Goliath (altri settanta e rotti minuti di musica, terzo album monstre in tre anni) galleggiano, incastonate, alcune sorprese (talune vi saranno di sollievo altre meno): atmosfere vocali talmente eteree ed equalizzate da lambire il dream pop (il falsetto di Cedric Bixler diluito in un brodo di giuggiole fra Styx e Alvin and the Chipmunks), sovraincisioni orgiastiche di chitarra e tastiere che subissano il sottobosco sonoro (e il buon lavoro del bassista) fino al limite dello shoegaze, un nuovo batterista (Thomas Pridgen) tanto svelto e tecnico quanto sprovvisto di fantasia e in generale un wall of sound diretto quanto basta (per i loro standard) e qualche scrupolo in più nel lasciarsi andare ai loro estatici impro-form (ci sono persino un paio di pezzi da 2 e 30).
In Aberinkula e Metatron redivive schegge di punk ed emo-core rimbalzano fra prog e noise senza infiggersi nelluno o nellaltro. Wax Simulacra (con finale free jazz) e Goliath (riff alla Red Hot/Janes Addiction frullato in una marea di digressioni) allineano sequenze di giri solidi e ribassati già mattoni portanti nel crossover dei primi 90. Ilyena è un ballabile disco-funk tempestato di sincopi e poliritmi, Tourniquet unoncia di post rock, Cavallettas affetta tempi dispari in staccato, un flauto traverso spunta sotto la massa critica di feedback, wah, droni, delay (e i fervidi assoli di Rodríguez-López che tentano di coniugare Hendrix e Lee Ranaldo); Agadez è un hard-blues disfatto da interludi psych-prog dantan, epici e vagamente caramellosi; Askerpios è un post rock fatto di progressioni dorgano, droni e cambi di ritmo, nella prima parte, e un hard rock psichedelico con il suo wah caricaturale, nella seconda. Ourobouros, il solito emo-prog sinfonico con variazioni di tono e di tempo (e flanger parlanti che nemmeno Peter Frampton usa più) che allietano ma non disorientano, Soothsayer è un collage di jazz e space rock (con grace notes di violino) prima del finale in messa cantata, Conjugal Burns, un cantilenante power-soul per voci bianche che brucia nel rogo noise-core del pre-finale.
Un album dei Mars Volta, oggigiorno, più che ai sacrifici e alle possessioni dei rituali aztechi (ai quali magari aspirerebbero) assomiglia ad una danza di innocue maschere di gomma di pane nel Dia de los Muertos. Per chi saccontenta
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