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R Recensione

5/10

Triclops!

Out Of Africa

Out Of Africa”, 400 g.

Ingredienti:

-un vocoder

-quattro ottimi musicisti, fra i quali spicca un virtuoso come Larry Boothroyd, bassista già da tempo attivo nell’olimpo funk statunitense

-una smodata passione imprenditoriale per il prog-core (che, giusto per aggiungere un pizzico di estratto di casualità, è la derivazione pseudo-metallica più in voga al momento)

-35 ml di impatto sonoro

-65 g di freschezza d’esordio

-300 g di Mars Volta

Tutto qui?

Tutto qui.

Stiamo ora trattando dei Triclops!, quartetto statunitense giunto quest’anno all’esordio su Alternative Tentacles, ma potremmo premetterci centinaia e centinaia di nomi di band simili, proliferate con una certa regolarità ed urticanza negli ultimi tempi, almeno dopo l’imprevedibile – e, a detta del sottoscritto, immeritato – successo della formazione capitanata da Omar Rodriguez Lopez e Cedric Bixler Zavala. I suddetti recensiti, però, sembrano avere una marcia in più di tutti i loro fiacchi colleghi: una durata complessiva decisamente ridotta, trentanove minuti, rispetto alle medie esorbitanti che caratterizzano il genere; uno pseudonimo tratto direttamente dalla fantascienza contemporanea, precisamente dalla saga di Star Wars, che permea anche ogni fibra dei loro testi; un suono meno pomposo e artificioso, più secco e tagliente, seppur comunque vittima di particolari barocchismi, vero tallone d’Achille dell’etichetta tutta.

Con premesse così altalenanti l’ascolto diviene quindi nettamente più stimolante di quanto sarebbe potuto esserlo in condizioni di relativa calma. E, allo scarto delle luci – qualcuna – e delle ombre – appena più delle loro antagoniste scintillanti –, si possono comunque segnalare interessanti considerazioni.

Possiamo dire, anzitutto, che non è stata un’idea ottimale affidarsi per l’apertura del disco a “March Of The Half-Babies”. Qualcosa di salvabile c’è, come il contrasto fra il riff minimale sparato dalla chitarra e gli arabeschi tracciati in sottofondo dal basso. Peccato che tutto si complichi col passare dei minuti: vocette acide e filtratissime, a mo’ di Battles – riprese poi anche in seguito – sospingono la materia prima verso un finale di delays e stacchi vorticosi, annacquato ed irrisolto, dove la sensazione primeggiante è quella della pretenziosità.

Il resto del lotto, seppur decisamente poco personale, è sicuramente molto migliore del primo antipasto: in “Duende War (Out Of Africa)”, nemmeno tre minuti, una chitarra priva di mordente viene sovrastata da un rap sincopato molto simile, per affinità, al modus operandi di Zach De La Rocha dei Rage Against The Machine. Ben più accattivante ed originale è il trattamento riservato al singolo, “Lovesong For The Botfly”, math rock singhiozzante squassato da voltaggi hardcore, dal finale pesante e metamorfico.

Poi, rivestiti di nuovi e ricchi panneggi prog-core, ritorna impellente la sensazione di un deja senti inarrestabile. Il problema non sta tanto nelle canzoni, relativamente buone, né nella tecnica strumentale, quella sì impeccabile, e nemmeno nella personalità, certamente molto più forte di molti altri illustri cloni. Purtroppo, pur con tutta la buona volontà, la fase di componimento non riesce mai a decollare, trattenuta a terra, a forza, da un suono sovente troppo ampolloso e che, anche nelle improvvise esplosioni metalliche, non riesce mai a scrollarsi di dosso l’ombra dell’enfasi interpretativa in agguato. La doppietta “Cassava” e “Secret 93”, posta nel mezzo di “Out Of Africa”, viene riletta più che ottimamente dagli americani, ma è comunque obiettivo il fatto che, con meno divagazioni prog, inutili nelle somme finali, e più sostanza, si sarebbe potuto raccogliere cento volte tanto.

C’è, infine, la bocciatura. Che è però lieve. I Triclops! possono continuare ad imbracciare lo status di primi della classe, ché nessuno glielo leverà. Hanno dimostrato, in ogni caso, di volere e sapere migliorare i propri limiti. Il che, vista la sconfortante situazione del rock dei nostri tempi, è assolutamente cosa da elogiare. Li aspettiamo ben volentieri alla prossima prova, consci del fatto che si potranno liberare una volta per tutte della loro, limitante, catalogazione, e potranno infine regolare con un gran seguito tutte le persone che vedono in loro solo un’altra copia dei Mars Volta.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 2 voti.
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