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R Recensione

9/10

Edge of Sanity

Crimson

Ignari di quali sia il primo aspetto cui dedicare attenzione nell'analisi di un'opera così vasta ed unica, è sicuramente indice di senno ricordare il contesto in cui è stata generata ed il sostrato che l'ha alimentata precedentemente. Gli Edge of Sanity sono una delle tante formazioni che hanno avuto la fortuna di contare nel proprio novero il genio indiscusso di Dan Swanö, prolifico polistrumentista e cantante che ha segnato indelebilmente la scena metal degli ultimi 20 anni. Nati in Svezia all'inizio degli anni '90, esordiscono con i validi UnorthodoxThe Spectral Sorrows, per poi arrivare a Purgatory Afterglow [1994], in cui il gusto per la melodia proprio del loro leader emerge in tutta la sua genuinità; tale disco segue la formula tipicamente scandinava del melodic death metal [contrapposto a quello più ortodosso d'oltreoceano], che tanta fortuna avrebbe recato poi ai vari In FlamesChildren of BodomDark Tranquility.

Alla metà del decennio, la band eponima del genere era prossima alla scrittura del proprio capolavoro più grande: si parla di Symbolic (1995) dei Death, gruppo del compianto Chuck Schuldiner che tanto avrebbe influenzato Swanö con la propria tecnica sopraffina ed ispirata; tale opera è uno splendido esempio di connubio tra la violenza vocale e strumentale del death stesso, e la raffinatezza di certo progrock precedente, che arriva sino ad incisi per chitarra acustica. In Svezia viene presto raccolto il testimone, e pochi mesi dopo nasce una delle produzioni più significative non solo del metal, ma della musica tutta si può osar dire. Scrivere musica è un'operazione tanto bella nel momento di ispirazione quanto frustrante nell'aridità compositiva, chi è del mestiere lo sa bene: quanti begli album rovinati da filler prescindibili, scritti forse solo per raggiungere la soglia dell'LP invece di limitarsi a tagli minori? Tale problema non sembra aver toccato Swanö in quel periodo, al cospetto di quanto ha elargito: nel dettaglio Crimson è un concept album di 40 minuti senza pausa alcuna, serratissimo nell'incedere, annichilente nei momenti di massimo furore ed intimo in quelli di maggiore introspezione.

Il tema narrato è quello di un futuro distopico in cui il genere umano è impossibilitato a procreare, finché la regina del pianeta, pur morendo lei stessa al momento del parto, non riesce a dar alla luce la propria figlia, la quale poi diverrà malvagia e sarà combattuta dal popolo che prima la osannava in quanto segno di speranza: la storia è degna d'interesse e va sicuramente letta in un contesto esterno all'ascolto per la difficoltà intrinseca nella comprensione garantita dal cantato growl, elemento però fondamentale nell'economia sonora dell'opera. Essa inizia in medias res, e viene subito presentato a pieno organico il tema principale che verrà proposto più volte all'interno della medesima, con scelte timbriche e ritmiche differenti che riescono a trarre linfa sempre nuova da una sequenza così essenziale. Analizzare la sterminata quantità di riff, cambi di ritmo e fill necessiterebbe di un approccio critico pressoché degno di musica sinfonica e risulterebbe snaturante e tedioso, vengono quindi individuati alcuni elementi particolarmente significativi a parer personale: uno dei riff più coinvolgenti (6:00) potrebbe a buon diritto essere abusato, invece viene centellinato e riportato solo una seconda volta parecchi minuti dopo, in maniera identica; un transiente fulmineo (28:20) sostenuto da un urlo che desterebbe invidia anche a Maynard J. Keenan dei Tool e alla sua furia finale in The Grudge (Lateralus, 2002) garantisce il passaggio dal contesto pulito a quello brutale immediatamente successivo; all'inizio dell'ultimo quarto dell'opera (32:40) c'è un momento per voce sola, avvolta in un riverbero spettrale e pronta ad intonare un passo cruciale della narrazione.

Le voci di Swanö e degli altri membri del gruppo si alternano alla narrazione, ora pulite ora ruggenti, altrettanto fanno le varie chitarre: non a caso tra gli ospiti del disco figura certo Mike Akerfeldt, che nel frattempo iniziava una carriera fruttuosa con i suoi Opeth, gruppo storico e venerato del quale i primi due dischi sono stati prodotti da Swanö stesso (OrchidMorningrise); Mike e Dan sono da sempre buoni amici, da ricordare il loro singolo inedito Mordet i grottan a nome Sörskogen, splendido idillio cantato in svedese e poi trasposto in lingua britannica con il nome di In My Time of Need all'interno di Damnation (2002). Saranno proprio gli Opeth a diventare gli alfieri più celebri dell'estetica proposta in Crimson, per esigenza di sintesi etichettata come progressive death metal: il progressive metal puro, venuto alla luce sul finire degli anni '80 grazie a band quali Queensrÿche, Fates Warning, e Dream Theater, sacrificava alcuni stilemi della vecchia scuola in onore di arrangiamenti progressivi più vicini al decennio precedente; le scelte vocali rimanevano spesso intatte però, si pensi agli acuti del primo LaBrie con Petrucci, Myung, Portnoy e Moore in Images and WordsAwake.

Crimson nel suo sincretismo è qualcosa di totalmente differente dal passato, perché riesce nel difficile intento di prodursi in una composizione di lunghezza sensibile senza perdere di coesione, peccato questo spesso frequente anche nei maestri del genere. I suoi crescendo sostenuti, seguiti da pause profonde, donano massima dinamica all'esecuzione, la quale non perde davvero mai di unione e non rischia mai di essere ripetitiva o noiosa, pur essendo costituita da parti oggettivamente distanti: qui risiede il miracolo dell'artista, che dispone tutti gli elementi in ordine perfetto quasi avesse ricevuto preciso ordine divino. Egli ha le idee chiarissime pur nell'ordire una trama dall'atmosfera così cupa, e ne vien fuori un manifesto di estetica e sostanza che nulla ha da invidiare ai paradigmi passati, eguagliandoli anzi in molti aspetti. Altri proveranno la via del concept metal monumentale, su tutti i Green Carnation con la loro Light of Day, Day of Darkness (2001), ottenendo risultati apprezzabili.

Non si offendano icolleghi di Swanö se a lui si attribuisce la parte maggiore del merito: dopo Infernal (1997), la prova in studio successiva (Cryptic, 1998) senza di lui è stata mediocre, mentre il folgorante sequel Crimson II (2003) è stato scritto ed eseguito integralmente dal solo artista, che ha suonato e cantato ogni singola parte dell'opera, incrementando sensibilmente l'utilizzo delle tastiere dopo l'esperienza fortunata del capolavoro solista Moontower (1998), pietra miliare del genere anch'esso. La sua produzione è talmente vasta ed al contempo sublime che è davvero difficile non scadere nella lode fine a se stessa: importante ricordarne gli esordi d'avanguardia a nome Pan.Thy.Monium!, le tinte gotiche dei suoi Nightingale in cui offre tributo al suono dei Sisters of Mercy tra le varie influenze, i suoi trascorsi come batterista nei Katatonia, le prove symphonic-black a nome Diabolical Masquerade oppure ancora la sua esperienza nei Bloodbath, sempre con Akerfeldt.

Cercare a tutti i costi difetti in Crimson è certamente indice di malafede: gli unici rimpianti risiedono nella probabilità pressoché nulla di assistere dal vivo alla sua esecuzione, dati i ripetuti proclami di Swanö circa le sue gravi difficoltà nel sostenere il cantato growl a lungo, cosa che un tour richiederebbe, e nel riconoscere che l'impeto musicale proprio di tale opera può rappresentare una barriera all'ascolto per chi non sia avvezzo al genere; per il resto, chiunque dichiari di amare l'arte non può certo privarsi dell'opera cremisi.

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Voto degli utenti: 8,9/10 in media su 8 voti.
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C Commenti

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B-B-B (ha votato 9 questo disco) alle 18:56 del 6 agosto 2015 ha scritto:

Discone Prog Death!

Utente non più registrat alle 14:59 del 27 maggio 2018 ha scritto:

Disco con ottime idee sparpagliate tra qualche ingenuità che tradisce un'incapacità di fondo di saper fare un one-track-album come si deve. È tanto confuso che a momenti si colpisce da solo