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R Recensione

7/10

Billy Bragg

Bridges Not Walls [EP]

Come trent’ anni fa, quando l’urgenza di far sentire la propria voce su quello che ci sta intorno non poteva aspettare il tempo fra due album e trovava spazio in formati ridotti, Billy Bragg torna con un EP di sei canzoni, “Bridges Not Walls”, dopo il viaggio in ferrovia condiviso con John Henry. Sei canzoni per sei temi del mondo contemporaneo che agitano coscienza e corde di Billy (e non solo la sua): la frase di Goya “Il sonno della ragione produce mostri” è la prima invettiva contro l’indifferenza, “che più del fascismo e del fanatismo è il vero pericolo della democrazia”, solo voce e chitarra elettrica sferzata come ai vecchi tempi, il vero marchio di fabbrica del cantautore britannico. La necessità di mobilitarsi per la difesa dell’ambiente contro i rischi di fenomeni naturali devastanti effetto delle politiche energetiche e produttive, sono al centro di “King Tide And Sunny Day Flood”, un testo che trae spunto da frequenti episodi di maree anomale accaduti in Florida servito da una base musicale a tinte country.

Why We Build The Wall scritta dall’autrice americana Anais Mitchell come parte della folk opera “Hadestown” è diventata il simbolo della reazione agli annunci di Donald Trump di volere costruire il muro fra Stati Uniti e Messico. La versione di Billy è punk ed elettrica, un vero e proprio inno intriso di rabbia ed indignazione. “Ho sentito Anais Mitchell cantare questa canzone durante le assemblee del movimento Occupy London nel novembre 2011, sugli scalini della Cattedrale di St Paul’s. Il potere delle parole mi ha stordito, e negli anni seguenti la canzone è diventata ancora più potente con l’incremento dei movimenti di massa dall’Africa e Asia verso l’Europa, il Nord America e l’AustraliaLe atmosfere soul jazz di “Saffiyah Smiles” contornano il racconto di una donna coraggiosa che ha il potere di evocare con il sorriso il valore della solidarietà, riunendo la folla a marciare contro i figuranti nazisti, mentre “Not Everything That Counts Can Be Counted” dice già tutto nel titolo, una riflessione acustica e ritmata su “una società che non ha più spazio per i sognatori ed un mercato interessato solo a valori ai quali può essere appiccicato un prezzo”. Infine, il pianoforte che accompagna le parole di un cittadino inglese nostalgico dell’impero, si professa non razzista, ma non si capacita di avere vicini di casa che devono caffè anziché the, rimpiange i tempi della guerra fredda quando tutto era più chiaro e non si capacita di dovere misurare le distanze in metri anziché piedi. E la soluzione a tutto ciò, con un titolo che da solo è un capolavoro di sottintesi è la “Full English Brexit”.

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