Controllo Elettronico Della Velocità
A Tutta Birra
Il primo prudente Badocchi suggeriva, addirittura, di allacciare le cinture: un avviso superfluo. Il suo secondo tragico, entusiasmante, anchesso autoprodotto (ma con in mezzo lo zampino di Nicola Manzan), di queste quisquilie se ne frega da subito e parte al contrattacco, con il cipiglio di chi si alza in piedi, incazzato nero, ed urla alla finestra che tutto ciò proprio tutto, insomma non lo accetterà mai più. Se il disco buono si riconosce, in primis, dalla sua fedeltà alla regola non scripta dei quaranta minuti come soglia massima ed immodificabile entro la quale comprimere i propri slanci, i Controllo Elettronico Della Velocità add(d)irittura esagerano in osservanza, non arrivando a raggiungerli nemmeno con una sommatoria su due piedi: venti lesordio, diciannove il suo diretto profeta. Lacceleratore è pigiato a tavoletta (altro che double nickels ), senza pause, senza soste, senza il tempo necessario per riprendere fiato. Così: punk. E magari fosse solo punk, anche per questo giro, così da poter liquidare il discorso con qualche battuta di circostanza e lo sticker for fans only. Magari. Au au, lampeggiante e paletta, au au. Dietro le divise da animali da palco, questi ragazzi nel loro piccolo hanno macinato qualcosa di grosso.
Chi si è goduto almeno una volta in vita la spassosa e fracassona mezzora di sudato spettacolo che i CEDV puntualmente regalano dal vivo, conoscerà già la stragrande maggioranza dei brani qui fissati su supporto. Sorpresa sorpresina, come gli easter egg allinterno delle edizioni deluxe, la parte dello you dont say la gioca, inaspettatamente, un pezzo che a modo suo è già classico, Il Blues Del Divieto Di Sosta, una scheggia di spiccio garage tendente hardcore con un riff cadenzato e strascicato che richiama, tuttavia, gli eidola cannabinoidi dei Monster Magnet di Dopes To Infinity. Non è bestemmia, né alterigia parlare di una sintesi stoner-punk che emerge prepotentemente da un tessuto sonoro scarno e minimale, se si pensano anche ai trascorsi del chitarrista Juri nei disciolti Mister Bizarro: lurgenza della velocità va a braccetto, questa volta, con un colore espositivo che rifugge la monocromia un po statica dellesordio. Se Allacciate Le Cinture era il tramite ideale per spingere a vedere il gruppo dal vivo, A Tutta Birra si concede il lusso di girare perfettamente anche su disco.
Attacca, guarda come attacca. Che non ci siano toppe evidenti, che tutto sia al posto giusto, che non vi sia niente di troppo (a Delfi la sapevano lunga ) è chiaro anche ad un ascolto distratto, disimpegnato. Il punto debole del predecessore, luso dellelettronica, qui viene sintetizzato in due martelli impossibili a dimenticarsi, la ghignante e tamarrissima Il Re Del Freno A Mano (un autoctono Ballo della Digos su frequenze ipersature) e il mantra di Full Optional, storto passo sintetico tra Redworms Farm e Two Pidgeons. La tentazione della pentatonica risuona ovunque, più forte che mai, sintetizzando Smart Cops incattiviti e Queens Of The Stone Age rintontiti (Alt Dogana è micidiale), reinventando lestetica Orange allinterno di una serratissima ritmica hardcore (113), tuffandosi a capofitto dentro ghignosi quadretti inchiodati a terra da frasi melodiche di straordinaria efficacia (se rimanete fermi su Ausiliario non siete umani!), rischiando con successo la carta dei tre minuti (Fausto e Furio vi viene in mente qualche assonanza?) e portando a casa il bottino pieno con le scorribande cassa-rullante-power chord (Fuori Dal Casello, la lotta di classe tra ciclisti bevuti e polstrada in Ma Dai).
Se poi vi chiamate Massimiliano e la vostra massima aspirazione è farvi desiderare ancora dai maschietti, non cè che dire: avete trovato davvero il disco che fa per voi.
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