Propagandhi
Supporting Caste
Parafrasando un noto slogan femminista si potrebbe intonare: «Signori, tremate / le A cerchiate son tornate!». Dopo quattro anni di silenzio, tornano infatti i Propagandhi col loro potente quinto album di inediti, pubblicato per un'etichetta appositamente fondata e dal nome quantomeno ironico. Il disco non delude le attese che la band canadese alimenta nel circuito punk-hardcore, riuscendo a competere col loro capolavoro “Today’s Empires, Tomorrow’s Ashes” (2001) e sfoderando un carisma ancora in grado di infiammare gli animi alla riflessione critica su temi attuali quali la guerra, lo sfruttamento, il razzismo.
Insomma, il risultato è frutto di una ricetta consolidata, nella quale le modifiche sono state poche, ma sensibili. La sensazione è quella di un certo rallentamento nei ritmi indiavolati degli album precedenti e di una cura maggiore nelle linee musicali, più melodiche che in passato. Si tratta comunque di lievi modifiche ed il marchio di fabbrica rimane invariato, frenetico fin dalla prima canzone, la tiratissima “Night Letters” urlata da Todd Kowalski, probabilmente la migliore del disco, tra sortite thrash e passaggi quasi prog assieme disorientanti e taglienti. Le tre tracce ‘strillate’ dal bassista del gruppo (oltre alla prima, “This Is Your Life” e “Incalculable Effects”) rappresentano l’anima hardcore della raccolta, tre stilettate in perfetto stile old school che strizza l’occhio ai Minor Threat e, anche per il testo, ai compianti 88 Fingers Louie.
Decisamente più melodiche sono altre canzoni, da “Dear Coach’s Cornes”, in forma di lettera al noto telecronista sportivo canadese Ron MacLean, a “The Banger’s Embrace” e a “Potemkin City Limits”, che riprende letteralmente il titolo dell’album precedente. Suona molto divertente “Human(e) Meat (The Flensing of Sandor Katz)”, inno al veganesimo esposto in una ironica chiave cannibalista, mentre stupisce il contrasto in “The Funeral Procession” tra la prima parte sopraritmo e la seconda introflessa verso il dark folk. Nel booklet, sempre concepito come una parte essenziale dell’intero package, seguono una lunga riflessione sul tema da parte del cantante Chris Hannah, con tanto di bibliografia e sitografia dedicata, ed un inquietante (e visionario!) quadro di Todd. Ad essere rappresentati sono i componenti della band, intenti a «torturare, uccidere, cucinare e mangiare parti di esseri umani post-vegetarian».
La testimonianza dell’impegno sociale (come la campagna per la riunificazione familiare dei rifugiati in territorio canadese o la solidarietà al movimento di indipendenza Haitiano) emerge non solo dalle lunghe note e riflessioni riportate nel booklet, ma anche e soprattutto dai testi delle canzoni, come da tradizione molto lunghi, senza refrain e cantati ignorando spesso la punteggiatura, a sottolineare la preminenza del messaggio sulla melodia e a confermare l’incedere destrutturato delle canzoni. Tuttavia l’album, a differenza dei precedenti, appare percorso da un sottile senso di disillusione, quasi un venir meno del consueto spirito battagliero di fronte allo svolgimento degli eventi, nei quali la maggior parte delle persone ha «storicamente vissuto in una forma di abietta servitù», non a caso uno dei temi centrali dell’album nelle sue varie forme.
A dispetto di queste sensazioni e di un richiamo alla fine - anche come morte - che è costante lungo tutta la seconda, intimista, parte del disco, l’appello conclusivo dei Propagandhi è rivolto proprio agli accidiosi, agli ignavi, a chi crede di dover solo sopravvivere, perché c’è bisogno dell’impegno di ognuno per uscire da questo stato di impotenza collettiva. In una parola, "Supporting Caste” costituisce una vitalistica boccata d’ossigeno in salsa punk-core, un inno alla ribellione ad una società vicina al collasso, ma ancora padrona.
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