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R Recensione

6,5/10

Nibiru

Salbrox

Giunti per la prima volta in carriera, col colosso dai piedi d’argilla “Qaal Babalon” (2017), ad un determinante bivio artistico, i torinesi Nibiru optano – con un certo qual coraggio, specialmente per una delle band più conservatrici del panorama heavy tricolore – per un più radicale e coerente riposizionamento stilistico, che si concretizza in parte nei sette lunghi brani del quinto full lengthSalbrox” (“zolfo” in quell’enochiano che già da tempo il power trio ha adottato come prediletto canale comunicativo dei propri rituali psych-sludge). Date le caratteristiche del gruppo non si tratta, né si può trattare di una rivoluzione copernicana, strutturale: è, piuttosto, una mutazione che interessa le sfumature, i dettagli – un dettame che, per tirare in ballo un grande nome che quest’anno festeggia il suo primo ventennale, appartiene da sempre al manifesto degli Ufomammut, fedeli sino allo stremo (ma senza precludersi un certo margine di manovra) alla propria formula.

I segmenti più intriganti di “Salbrox” sono, manco a dirlo, quelli che deviano dalla metodica furia distruttrice delle lunghe, sfiancanti epopee doomish mononota e monofrequenza in cui i Nibiru si sono specializzati (qui, ad esempio, la brutale “EXARP”, con il volume delle chitarre curiosamente addomesticato e interamente subordinato al pitch vocale della litania performativa di Ardat). “HCOMA” è una stringa cosmica ambient-noise per drone antropologici à la Mai Mai Mai (ottimi i suoni), arpeggi samplizzati e percussioni aggiuntive (Deadsoul compare come ospite). L’esplorazione concettuale si fa labile soffio di morte nelle desolate lande di “ABALPT” (il negativo della parola creatrice che, non casualmente, si sviluppa come escrescenza da uno spoken word in isolamento) e supermassiccia concrète avviluppata attorno alle rade note di piano di “BITOM” (con sottili ma persistenti interferenze elettroniche sullo sfondo). Alla conclusiva, torrenziale “RZIORN” spetta il difficile compito di creare squarci spaziotemporali ove far dialogare le due anime del gruppo: dopo una frastornante quanto convenzionale prima metà sludge, la seconda allarga le maglie strumentali, rifrangendole in un vuoto cosmico di inaspettata profondità.

La metamorfosi è in pieno divenire e molto va ancora limato (di atonali panzer blackened come “NANTA”, forse, si può cominciare a fare a meno), ma la strada è quella giusta. Accogliamo con grande piacere l’inaugurazione di una nuova fase.

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