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R Recensione

6,5/10

Comet Control

Center Of The Maze

Li avevamo marcati da vicino, qualche anno fa, quando ancora si chiamavano Quest For Fire e – alle orecchie di molti – suonavano come una delle formazioni più promettenti dell’indefinito raggruppamento psych-stoner del Nuovo Millennio. Il quartetto scrisse due ottimi dischi, l’omonimo esordio del 2009 e l’ancora migliore “Lights From Paradise” dell’anno successivo, prima di sciogliersi ad inizio 2013. Soltanto recentemente, tuttavia, con quella fortuità tipica dei migliori incontri, ci siamo imbattuti nei Comet Control, la nuova creatura di Chad Ross e Andrew Moszyński (già voce e chitarra della band di Toronto) e il più classico dei rimescolamenti di carte che così spesso coinvolgono la sempre dinamica scena canadese. L’occasione per parlare finalmente di loro ci viene offerta da “Center Of The Maze”, secondo loro disco, a un biennio di distanza dal s/t di debutto (sul quale, almeno speriamo, avremo la possibilità di soffermarci a breve).

L’approccio drammatico, sognante e fortemente cinematico dei Quest For Fire – così diverso rispetto alle rocciose, sempre uguali scorribande di troppi gruppi di genere – è qualcosa che non si può dimenticare facilmente. Proprio da questa peculiarità decidono di ripartire i Comet Control. Per quanto difficile da immaginare di primo acchito, pensate ad uno stile indefinito e sfuggente che abbraccia insieme le visioni della psichedelia Sixties, le brume psicotiche di quella Eighties, il western-blues più evocativo e, naturalmente, le suggestioni della West Coast. Ne risulta uno stoner meticciato, sfumato, a tratti immateriale, che diluisce il proprio (pronunciato) gusto melodico in strati di suono che – per mancanza di un termine migliore – non possiamo non definire shoegaze. “Dig Out Your Head” sono i Crazy Horse intercettati dagli Spacemen 3, con un arabesco chitarristico portante i cui esatti contorni sembrano sempre rimanere celati, nell’ombra (o nella nebbia?). A proposito di ombre, “Darkness Moves” mette in evidenza il lato più muscolare del quintetto, con sbuffi di fuzz cosmico a pie’ pari sospinti da una grande ritmica: “Criminal Mystic”, d’altro canto, indovina la pachidermica head hard rock, avvicinandosi – per volumetria e senso armonico – ai pastiche sintetici dei recentissimi Black Mountain di “IV”.

Ricco di spunti e intuizioni, “Center Of The Maze” paga solamente il difetto di incentrare il proprio discorso da una prospettiva, diciamo così, non esattamente plurifocale. Muoversi nel recinto di un tale, fascinoso ibrido dovrebbe permettere, a maggior ragione, una pronunciata mobilità, che ai Comet Control sembra invece mancare. La tracklist non lesina altri piccoli gioielli: sicuramente intrigante il goth-indie rock (con melodia centrale in 7/4) di “Golden Rule”, dove i phaser lasciano dietro di loro scie imponenti e i cembali ticchettano maliziosamente, e l’effetto circolare di “The Hive” (le slide guitar al tempo dei Velvet Underground) avvolge da ogni parte l’ascoltatore. Ad essere stiracchiati sono, piuttosto, i due lunghi atti conclusivi: gli spunti dell’americana versione Pontiak di “Sick In Space” sono, di fatto, la trasposizione su disco delle prevedibili dilatazioni live, mentre gli oltre dieci minuti di “Artificial Light” sono una maestosa, lenta sinfonia ricorsiva chiosata da synth eterei e chitarre paradisiache, una Colin L. Orchestra in maggiore (basta tendere l’orecchio al trionfo solistico in coda) che dispensa parimenti serenità e sbadigli.

Il coraggio del tentativo, di per sé lodevole, incontra comunque una manciata di canzoni ottimamente costruite. “Center Of The Maze” potrebbe essere, a sorpresa, il disco stoner dell’anno. Almeno per i cuori più solitari lì fuori…

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