Electric Wizard
Witchcult Today
Nel Medioevo la Chiesa tendeva ad identificare e processare alcune donne, spesso erboriste o esperte in medicina, in qualità di streghe, accusandole di riunirsi nelle notti di luna piena per festeggiare, con orge, baccanali e riti messianici, la loro totale devozione al demonio. La fine di queste poverette, ovviamente incolpevoli, si consumava su una pira incandescente o, peggio ancora, al patibolo. Stessa sorte toccava ai cosiddetti maghi e alle loro strane pozioni, spesso nientaltro che distillati naturali per curare malattie, o decotti medicamentosi.
Più di mille anni dopo, siamo ancora qui a parlare di tisane inebrianti e maghi occulti. Ma questa volta non siamo di fronte ad un Tribunale dellInquisizione, né stiamo osservando le fiamme di un rogo che lambiscono le vesti di una condannata a morte. Qui si parla di stoner metal, qui si parla di Electric Wizard.
Per gli aficionados o, comunque, gli interessati, il nome del gruppo, rivelandosi in tutto il suo valore, potrebbe già chiudere la recensione. Per chi, invece, non avesse ancora ben inquadrato di cosa si sta parlando, vediamo di fare un po di chiarezza caratteristica che, fra le spire di questa musica, non è molto diffusa-: gli Electric Wizard, nati per iniziativa del leader Jus Oborn nel 1993, rappresentano quanto di più vicino, pesante, diretto e fedele Kyuss docent- possa rappresentare, nel Nuovo Millennio, larchetipo del nuovo sound à la Black Sabbath. Stoner metal, dicevamo: un po di stonerrock come base, soffocato da zampilli di lentissimo e massiccio doom, con o senza psichedelia, a piacere. E poi droga, tanta: la comprensione totale di questo genere può arrivare, infatti, solamente attraverso un uso coscienzioso ed oculato di certi stupefacenti, il cui utilizzo sembra venire incoraggiato dalle stesse band esperienza personale?-. Basterebbero due nomi per fare annichilire qualsiasi pagano dello stoner, e convertirlo allistante: le tetre encicliche claustrofobiche di Dopethrone (2000, imprescindibile capolavoro), o i fumosi schiacciasassi di We Live (2004). Come dire, bibbie.
Ma i maghi elettrici non sono morti e, anzi, continuano a macinare trame nellombra. Dopo tre anni ritornano, più forti che mai, con otto nuovi viaggi, un rinnovato esilio di cinquantotto minuti, a raccontarci il culto odierno delle streghe. Che vive nelloscurità, si nutre di mistero, viene alimentato a sua volta da quella particolare psicotropia artificiale, del cui abuso venivano accusati i presunti progenitori sopraccitati.
Questa volta, non cè la disperazione e la nerissima teatralità di Dopethrone. Non ci sono nemmeno troppi vocalizzi urlati. Non ci sono i giri a vuoto degli ultimi episodi. Non ci sono ritmiche veloci e martellanti. Con Witchcult Today, Oborn e soci optano per un totale accentramento su un suono meno pesante del solito, ugualmente oppressivo, ma molto più dilatato e psichedelico, in certi frangenti vagamente orecchiabile, che pesca a piene mani dalle stralunate isometrie degli anni 70. Non solo: il leader del quartetto decide finalmente di provare a cantare, e il risultato è una continua nenia cantilenata, biascicata a fatica (la title-track posta in apertura, sommersa di dissonanze allucinate e allucinogene), oppure masticata confusamente fra i denti, tra barricate di chitarre distorte e feedback strascicati a fatica (linteressante Dunwich, col suo pseudo-refrain ossessivo ed avvincente).
Quello che però piace veramente del nuovo lavoro degli Electric Wizard è una nuova, consapevole capacità evocativa, anchessa diretta conseguente dei Seventies, che si scontra con la ferma volontà di sempre di accumulare riff su riff, accordo dopo accordo, quasi a vedere quanto tempo possa resistere lascoltatore. Vengono aumentati gli spazi dedicati alle pause, non cè più la necessità di schiacciare rabbiosamente i timpani dellascoltatore con pile di watt: conta la quantità, non la forza. La breve strumentale Raptus e il meraviglioso spegnersi si fa per dire- di The Chosen Few (una delle più valide dellintero lotto, nonostante il motivo centrale spiacevolmente simile a quello della title-track) sono dei veri e propri distillati di psichedelia nera, densa, appiccicosa, pesante, tra i primi Pink Floyd, i Red Crayola e gli onnipresenti sabba neri.
La conclusiva Saturnine, poi, è veramente mostruosa: dodici minuti di navigazione in un iperspazio astratto, tra flussi elettrici e volute di fumo grigio, con i ritmi percussivi che assumono cadenze tribali e i wah wah delle chitarre che rimbombano nellinfinito.
Sono tornati, più forti che mai. E richiedono la vostra anima.
Vive le rock.
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