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R Recensione

6,5/10

Narrenschiff

Of Trees And Demons

Italy goes stoner, part I

Entriamo nel merito di “Of Trees And Demons”, il buon debutto del power trio di Senigallia Narrenschiff, parallelamente ad un altro e ben più ampio discorso, che riguarda l’insolito (incontrollabile?) proliferare di gruppi stoner lungo la Penisola nell’ultimo lustro. Accordature ribassate, chitarre desertiche, percentuali variabili di intontimento psichedelico e, soprattutto, una corsa continua a raccogliere l’eredità della fu splendida ugola di John Garcia: ad ogni latitudine e longitudine l’Italia, percepiti con chiarezza l’inesorabile invecchiamento del post rock strumentale e la nauseante saturazione dell’alt rock, si risveglia ogni giorno più freak. Contestualmente, puntigliosamente, potremmo notare che sempre è covata, finanche sotto le ceneri di altre mode passeggere, una morbosa attrazione verso lo stoner, ingrediente peraltro tacitamente obbligatorio nella maggioranza delle produzioni di genere: la vera e propria bolla, in ogni caso, si è gonfiata (e continua a gonfiarsi) solo di recente.

Perché, oggi, lo stoner è il nuovo verbo “pop” di un certo volgo alternativo? Proviamo, umilmente, a suggerire delle risposte, estrinsecandole dalla materia viva di “Of Trees And Demons”. Punto primo: la semplicità di scrittura. Ascoltatori ed aficionados sanno perfettamente che, spogliati dell’effettistica, deprivati delle propaggini solistiche, denudati dell’elettricità, ridotti a scheletri minimali, i giri armonici dello stoner sono – non “si compongono”: semplicemente “sono” – pentatoniche del nuovo millennio, con qualche aggiunta e correzione di semitoni (togli la settima, metti la quinta…) ma, for brevity’s sake, quello è e quello rimane. Non c’è alcun bisogno di innovazione, nessun peccato di sovrastruttura: lo spirito punk si conserva in ogni fibra di questi brani. Sono power chords impettiti, solidi come una colata di cemento quelli di “Ocean”, la cui trazione metallica (rimarcata dalle giunture e dai fills del batterista Gerson De Oliveira) non diviene mai inutilmente epica. Il che ci porta al punto secondo: la ricchezza dell’immaginario, il variopinto apparato iconografico. Per dirne una, “Atomic Axilla, Robot Godzilla” (lick che più Fu Manchu di così si muore, assoli hard rock gonfiati dal wah come lo scirocco gonfierebbe le dune sahariane), con le sue backing tracks in reverse e i sample d’apertura, è esplicita al limite del pornografico. Lo stesso moniker, d’altro canto, rimanda ad alcuni topoi della satira rinascimentale mitteleuropea che, a sua volta, traeva ispirazione da precisi episodi di cronaca nera (le “navi dei folli”, imbarcazioni cariche di eccentrici e malati mentali lasciate andare alla deriva).

Dalla raffigurazione pittorica a quella strumentale. Il punto terzo può essere così riassunto: controllo completo sul suono desiderato e sulle eventuali variazioni. Senza suono, spessore, suggestione non c’è stoner ma, al limite, hard rock di bassa manovalanza, caricatura blues. Si capisce: dove manca il virtuosismo personale si sostituisce la competenza tecnico-acustica. Infinite le striature e i coni d’ombra dell’elementare riff della title track, in cui si accenna anche ad una timida variazione ritmica (un 10/8 orgogliosamente esibito nella quarta battuta di ogni strofa): “Suzy”, pura scuola Go Down, offre il fianco ad un’analisi non granché dissimile, mentre il galoppare di “57” ha un che degli Zippo di “Maktub”. Quando si vuole allungare il brodo, poi, il copione lo permette senza troppi patemi d’animo: ecco il punto quarto, la coerenza stilistica che, monolitica, granitica, si adatta facilmente ad ogni modifica esteriore, fosse il didgeridoo della conclusiva “Event Horizon” (la risposta stoner agli estatici YOB di “Clearing The Path To Ascend”: la miglior canzone del disco) o gli annebbiamenti cajun che si abbarbicano, minacciosi, verso la metà della doomishDesert”.

Avrete già ascoltato un album come “Of Trees And Demons”, decine se non centinaia di volte: i confini del genere non permettono grandi acrobazie. Ci viene in aiuto il punto quinto: per quanto usurate possano sembrare certe soluzioni, ben difficilmente il risultato finale annoia. La generosità del voto è, in verità, semplice prassi d’ordinanza.

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