Prehistoric Pigs
Everything Is Good
Italy goes stoner, part II
Due, come i full length scritti e registrati dai Prehistoric Pigs di Mortegliano, microscopica provincia di Udine. Due (e mezzo: turbolenza non prevista), come gli anni che separano Everything Is Good dallesordio, Wormhole Generator. Due, come la posizione dellantitesi hegeliana: inquieta, imperfetta, bellicosa, corrucciata. Il due vada, allora, ai fuoriclasse del lotto: ché se tutto è buono, come in un maiale, nulla si butta e tutto si riutilizza. Materica e casareccia, ai limiti della gratuita ruvidità, la metafora: difficile, allascolto, sintetizzarne una anche solo vagamente più elegante. Con la sophistication da intendersi solo ed esclusivamente come deleterio scambio dellorpello per la sostanza, ricerca del vestito da far aderire ad un corpo morto: il disco, secondo il terzo comma del pentalogo fornito nellarticolo sui Narrenschiff, a livello sonoro sfiora la perfezione , con la sophistication, dicevamo, i Prehistoric Pigs, neandertaliani da titolazione, fanno qualcosa di molto simile a quello che avrebbe tanto desiderato fare il Senatùr con la bandiera italiana: e meno male. Come dalla fucina di Efesto, sorge un magnifico e terribile sole nero.
La saggezza popolare non necessita di ulteriori chiose: è nei dettagli che il diavolo nasconde la sua coda. Chiunque ami senza riserva alcuna And The Circus Leaves Town, come il sottoscritto, non farà troppa fatica a risentire Thee Ol Boozeroony, con le dovute correzioni e con un più ricco interplay strumentale, in Everything Is Good I. Cercate e troverete: basta lasciar scorrere qualche superflua, acida sezione di connessione perché il fuzz faccia sentire tutto il suo peso, riallineando la struttura del brano a mo di ipertangibile panzer doom (dal fade out emergerà, una quarantina di minuti dopo, Everything Is Good II, mortifera cavalcata heavy-psych dal chitarrismo progressivo). Red Fields sfrutta un trucco, se solo ci soffermiamo a pensarci, vecchio quanto il mondo: una sinuosa acustica tex mex traccia la serpentina melodica portante, prima di finire disintegrata dai distorsori. La coda, ancora una volta, svolta bruscamente e sorprende: una pila di fraseggi tooliani suonati a velocità crescente comincia a degenerare in puro noise metallico, finché non rimangono le sole, implacabili frequenze basse. Non si è ancora sentito il meglio: a lasciare senza fiato sono Universally Droning, un unico giro sludge in 6/8 ripetuto ad libitum con scansioni, accentazioni e distorsioni differenti (una manata in pieno volto: chissà che carnaio, dal vivo) e una millimetrica Zug, i riff dei Kyuss (periodo, questa volta, Welcome To The Sky Valley) incellophanati dagli Harvey Milk.
Benché qualche curioso esperimento possa dirsi riuscito (il violoncello di Maria Vittoria Pivetta a proporre inediti spazi ambientali su una Hypnodope del tutto monolitica, à la Sons Of Otis), vi sono almeno un paio di episodi di caratura minore per cui, nelleconomia complessiva, siamo costretti a rimodulare gli entusiasmi: del tutto superfluo lesagerato solipsismo in wah di Shut Up, It's Raining Yolks (gli Earthless, argh!) e un po noiosa la tiritera psichedelica di When The Trip Ends, unico scorcio in cui i valvolari non siano tesi al massimo della loro potenza. Il che conferma quali siano lautentico dono e la reale prerogativa dei Prehistoric Pigs: prenderne uno per annientarne cento.
Tweet