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R Recensione

6/10

Queens of the Stone Age

Lullabies To Paralyze

Li avevamo lasciati con un album capolavoro come “Songs For The Deaf” che li aveva rivelati alle masse con il singolo “No One Knows”, ma soprattutto li avevamo lasciati con l’etichetta di rock band del momento e, forse, di gruppo più importante in circolazione nel circolo del rock “pesante”. Già, perché quando sforni tre capolavori di fila si fa presto a iniziare coi rimandi storici: sfilze del genere li hanno infilati i Beatles, gli Stooges, i Nirvana, i Radiohead e pochi altri. Si può capire quanta attesa ci fosse attorno a questo quarto album della band capitanata da Josh Homme (ex Kyuss). Nel frattempo però c’è stato l’allontanamento (vabbè diciamo pure la cacciata) del bassista Nick Oliveri da parte di Homme. Evidentemente il pollaio era diventato troppo grande per i due galletti. A complicare ulteriormente le cose anche gli impegni di Dave Grohl (leader dei Foo Fighters) che gli impediscono di riprendere il posto abituale alla batteria e quelli di Mark Lanegan (impegnato con l’album “Bubblegum”) che lo obbligano a brevi comparsate. Capirete come la fenomenale line-up di “Songs For The Deaf” sia stata completamente stravolta per fare posto all’ingresso di Joey Castillo (batteria) e Troy van Leeuwen (chitarra). Le premesse non erano insomma delle migliori ma come al solito noi non sottostiamo ai pregiudizi e appena trovato l’album non esitiamo a scaldare lo stereo.

Apre le danze la calda voce suadente di Mark Lanegan nella soffice This Lullaby”, poi arriva la scatenata “Medication” con un chitarrone devastante quanto breve (poco più di un minuto). “Everybody Knows That You're Insane” ci insinua in un’atmosfera psichedelica subito infiammata da cambi di ritmo repentini e troneggianti. “Tangled Up In Plaid” inizia con un’andatura sobbalzante e prosegue con il tentativo di alzare il livello ma qui comincia a incepparsi qualcosa e nonostante un assolo tanto acido quanto spettacolare si comincia a storcere il naso. L’impressione è confermata da “Burn The Witch” che riesce addirittura insipida tanto priva di idee. “In My Head” riporta Homme in copertina con un suono che rievoca i fasti raggiunti dal gruppo con i primi album, ma è con “Little Sister” che torna la voglia definitiva di lanciarsi in piedi in mezzo alla stanza a simulare batteria, chitarra e canto come farebbe anche il più scemo ragazzino quattordicenne. “I Never Came” rallenta forse eccessivamente il ritmo ma prepara alla maratona di “Someone's In The Wolf”. Nasce come un muro di cemento e cresce come una sfuriata psichedelica i cui rimandi portano addirittura il ricordo vago delle impalcature architettoniche dei Kyuss. Si rimane ossessionati in senso positivo dal riff ripetuto in continuazione per oltre cinque minuti, poi breve pausa di riflessione e esplosione finale. Da paura! “The Blood Is Love” è puro stoner, senza fronzoli di nessun tipo, che però non riesce ad appassionare e che denota qualche dubbio sulla perenne staticità delle strutture sonore. Mancano accelerazioni, manca il lato più punk del gruppo. Manca qualche idea. In parole povere si sente l’assenza di Nick Oliveri. “Skin On Skin” conferma purtroppo l’impressione di povertà qualitativa. “Broken Box” ha il merito di rallegrare un minimo la scena la quale fionda però in un’atmosfera plumbea e vagamente “noir” con “You've Got A Killer Scene There Man”: blues distorto e malato calato in un pozzo senza fondo, ma ancora si sente che si poteva fare meglio.

Long Slow Goodbye” è una degna chiusura molto malinconica e dimessa.

Nel complesso non si può dire che “Lullabies To Paralyze” sia un brutto album, ma nemmeno che sia un capolavoro, si tratta invece di un album buono nel suo genere, con alti e bassi e che riesce comunque a zittire i denigratori di Homme che lo accusano di non esser riuscito a sopportare il genio di Oliveri. Lo stravolgimento della formazione ha portato di fatto ad un’egemonia assoluta di Homme e ne è venuto fuori un buon album tipicamente stoner senza troppi sbalzi stilistici. Più omogeneo magari ma meno scorrevole dei precedenti.

La speranza è che Lullabies To Paralyze” non sia l’assestamento definitivo di un sound ormai fissato nel genere ma sia un album di passaggio nonché di partenza per un nuovo gruppo di validi artisti che saranno sicuramente in grado di portare avanti progetti molto ambiziosi per il futuro.

Aspettiamo fiduciosi buone notizie…

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 11 voti.
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Vikk 6/10
ThirdEye 5,5/10
luca.r 5/10

C Commenti

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Vikk (ha votato 6 questo disco) alle 17:44 del 28 maggio 2007 ha scritto:

da Josh Homme ci si aspetta sempre delle cose favolose, l'album e' mediocre e per il primo della classe non puo' che essere una bocciatura.

Marco_Biasio (ha votato 6 questo disco) alle 22:25 del 20 novembre 2009 ha scritto:

Un po' stanco, ma Little Sister è un pezzo con la P maiuscola.

drammaturgo alle 19:10 del 2 dicembre 2009 ha scritto:

Little Sister è un Pezzone ragazzi...anche Burn The Witch è assurda...lenta e tosta-rocciosa al tempo stesso...

NathanAdler77 (ha votato 7 questo disco) alle 18:32 del 12 dicembre 2010 ha scritto:

The Blood Is Love

Un altro album al livello dei primi tre sarebbe stata un'impresa epica anche x il ròscio, ma resta comunque un bel dischetto rocche altroché ("Medication", "Burn The Witch", "Little Sister" & "Someone's In The Wolf" da uccelli paduli).

ozzy(d) (ha votato 7 questo disco) alle 21:07 del 12 dicembre 2010 ha scritto:

sì,nathan è un buon disco anche per me. all'epoca massacrato da tutti i nostalgici di quell'impedito di olivieri, mister "apartesaliresulpalconudotirarecocaeragliaresulmicrofonononfaccioaltro" ma viscerale e sanguigno. "someone's in the wolf" tra i migliori pezzi di sempre di Homme.