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R Recensione

6/10

Torche

Meanderthal

Miami: sole, palme, spiagge, belle ragazze, fisici tonici, grattacieli… e stoner rock!

È così che quattro ragazzi provenienti dall’assolata città statunitense cercano di sfatare, nella maniera più impensabile, lo stereotipo che la attanaglia da tempi immemori. Ai riverberi salini dell’oceano e ai disimpegnati jingle notturni che percorrono la metropoli, loro rispondono con un’immagine roots e trasandata e montagne di distorsioni belligeranti, sia che appartengano alle sei corde, che alla monolitica sezione ritmica.

Interessante la storia dei Torche, che meriterebbe una parolina a parte: da me già segnalati, qualche mese fa, per il loro bell’esordio omonimo del 2005, sotto Robotic Empire, che aveva ben messo in rilievo un certo attaccamento all’arido southern rock del Mississippi, avevano poi prodotto un EP giusto l’anno scorso, “In Return”: tolte le vesti dei kyussomani, le sette canzoni del mini-lavoro suonavano sicuramente più pesanti e ferruginose, più High On Fire e Mastodon primo periodo, ma decisamente meno ispirate. Pezzi assolutamente scatena(n)ti, tuttavia poveri di idee e privi di sostanziale sviluppo. Una decisa retromarcia con schianto, metallico, finale.

Ora, cambiata etichetta (la nuova è la Hydra Head), cambiato produttore (l’incriminato ora è Kurt Ballou, già al lavoro coi Converge), i quattro sono pronti a tornare in pista, e lo fanno ai primi di aprile con questo nuovo “Meanderthal”. Titolo che, lo sottolineo, non è una svista ortografica, bensì ben voluta, e che sarà importantissimo per poter ben inquadrare le velleità del disco.

Una prima occhiata al pacchetto, senza approfondimenti sonori, ci potrebbe offrire poco in comune con l’album precedente, se non la similare breve durata (i minuti da ventinove diventano trentasei, ma ci sono anche tre canzoni in più, per un totale di tredici) e la copertina assolutamente improponibile, a metà fra un graffito infantile à la Teletubbies e un’illustrazione astratta su un improbabile manuale di storia (delle loro, si salva solo quella di “In Return”, a mio avviso). Un ascolto successivo, e prolungato, ci darà ragione. I brani di “Meanderthal”, infatti, sono un ideale incrocio fra la bieca distruttività dell’EP e i bei stilemi acustici di “Torche”, come le schitarrate kyussiane, le linee vocali pulite e melodiche, la capacità di concentrare molte idee in segmenti di breve durata.

A questo punto, si può essere anche pronti per fugare le questioni sul titolo del disco. “Meanderthal” è un neologismo che racchiude assieme ruvidità, grettezza litologica, con una profonda analisi della mente e una conseguente, pesante incidenza. Più code lisergiche, infatti, arricchiranno la stragrande maggioranza dei pezzi, ad annegare i rocciosissimi watt delle sei corde, per sposare con più efficacia potenza fisica e psicologica fra loro. Funambolismi stoner-delici come quelli dell’apertura strumentale di “Triumph Of Venus” vanno a nozze con le distorsioni mid-lente, e spruzzate di una certa melodia sotterranea, di canzoni come “Across The Shields”, dagli ottimi incroci fra chitarre, e “Sundown” (ma sarebbe meglio dire sun-Down). Album dunque godibile, che non disdegna tuttavia spiccate accelerazioni verso sonorità cupe e pesanti: le schegge stoner metal di “Piranha” (dalle tinte quasi thrash) e “Speed Of The Nail” riescono ad entrare immediatamente sottopelle grazie ad un bel contrasto fra riff aguzzi e cantato melodico-ma-non-troppo. Molto carino anche l’intermezzo di “Little Champion”, trenta secondi di divertissement chitarristico.

Ma psichedelia abbiamo detto, e che psichedelia dunque sia.

Sono in fondo al lavoro i pezzi più interessanti, quelli che denotano in contemporanea una buona capacità di svisare atmosfere allucinogene con un minimo aiuto strumentale (e si intenda perciò anche le sole chitarra-batteria). Pur mantenendo un ritmo ugualmente serrato, con poche indulgenze ad abbacinanti stop percussionistici (sarà forse la cura Ballou?), i Torche danno il meglio di loro stessi prima con “Amnesian”, maniacale galleria di barcollanti istantanee, sfuocate da un tappeto di lussazioni mescaliniche e di feedback arrotanti, e poi, soprattutto, con la title-track finale, una vera e propria immersione nel doom più folle e orrorifico, quello tanto caro agli Electric Wizard, per dirne una. E questa volta, su tutto cala una cappa di nerissima ossessione.

Ma, ahimè, sovente “Meanderthal” rimane solo musica da sottofondo, senza poter aspirare a compiti maggiori e nel contempo non strappare qualche annoiato sospiro. La potenza c’è, l’orecchio anche, ma la personalità pare solo un lontano flash congelato nel tempo a partire da tre anni fa, quando, in nemmeno mezz’ora, i Nostri avevano tirato fuori un grande disco. Kyuss + Motorpsycho + Electric Wizard rimane formula vincente per chiunque, ma la rielaborazione personale, che tanto si era denotata nell’esordio, qui è ridotta ai minimi termini. E dispiace, perché i quattro avrebbero potenzialità da grandissimi numeri: invece, in questo caso, è ormai inutile dire che, se cercate il meglio, qui non lo troverete.

Promossi sì, ma con riserva.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 2 voti.
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CigarO 7/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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CigarO (ha votato 7 questo disco) alle 1:54 del 28 agosto 2008 ha scritto:

Sinceramente...

certo non è un disco esaltante ma la tua, caro marco, è o non è una stroncatura? non credo se la meritino...ma con la copertina sono caduti in basso

ThirdEye (ha votato 9 questo disco) alle 23:44 del 18 novembre 2012 ha scritto:

Mah, discone, per il sottoscritto..