Torche
Meanderthal
Miami: sole, palme, spiagge, belle ragazze, fisici tonici, grattacieli e stoner rock!
È così che quattro ragazzi provenienti dallassolata città statunitense cercano di sfatare, nella maniera più impensabile, lo stereotipo che la attanaglia da tempi immemori. Ai riverberi salini delloceano e ai disimpegnati jingle notturni che percorrono la metropoli, loro rispondono con unimmagine roots e trasandata e montagne di distorsioni belligeranti, sia che appartengano alle sei corde, che alla monolitica sezione ritmica.
Interessante la storia dei Torche, che meriterebbe una parolina a parte: da me già segnalati, qualche mese fa, per il loro bellesordio omonimo del 2005, sotto Robotic Empire, che aveva ben messo in rilievo un certo attaccamento allarido southern rock del Mississippi, avevano poi prodotto un EP giusto lanno scorso, In Return: tolte le vesti dei kyussomani, le sette canzoni del mini-lavoro suonavano sicuramente più pesanti e ferruginose, più High On Fire e Mastodon primo periodo, ma decisamente meno ispirate. Pezzi assolutamente scatena(n)ti, tuttavia poveri di idee e privi di sostanziale sviluppo. Una decisa retromarcia con schianto, metallico, finale.
Ora, cambiata etichetta (la nuova è la Hydra Head), cambiato produttore (lincriminato ora è Kurt Ballou, già al lavoro coi Converge), i quattro sono pronti a tornare in pista, e lo fanno ai primi di aprile con questo nuovo Meanderthal. Titolo che, lo sottolineo, non è una svista ortografica, bensì ben voluta, e che sarà importantissimo per poter ben inquadrare le velleità del disco.
Una prima occhiata al pacchetto, senza approfondimenti sonori, ci potrebbe offrire poco in comune con lalbum precedente, se non la similare breve durata (i minuti da ventinove diventano trentasei, ma ci sono anche tre canzoni in più, per un totale di tredici) e la copertina assolutamente improponibile, a metà fra un graffito infantile à la Teletubbies e unillustrazione astratta su un improbabile manuale di storia (delle loro, si salva solo quella di In Return, a mio avviso). Un ascolto successivo, e prolungato, ci darà ragione. I brani di Meanderthal, infatti, sono un ideale incrocio fra la bieca distruttività dellEP e i bei stilemi acustici di Torche, come le schitarrate kyussiane, le linee vocali pulite e melodiche, la capacità di concentrare molte idee in segmenti di breve durata.
A questo punto, si può essere anche pronti per fugare le questioni sul titolo del disco. Meanderthal è un neologismo che racchiude assieme ruvidità, grettezza litologica, con una profonda analisi della mente e una conseguente, pesante incidenza. Più code lisergiche, infatti, arricchiranno la stragrande maggioranza dei pezzi, ad annegare i rocciosissimi watt delle sei corde, per sposare con più efficacia potenza fisica e psicologica fra loro. Funambolismi stoner-delici come quelli dellapertura strumentale di Triumph Of Venus vanno a nozze con le distorsioni mid-lente, e spruzzate di una certa melodia sotterranea, di canzoni come Across The Shields, dagli ottimi incroci fra chitarre, e Sundown (ma sarebbe meglio dire sun-Down). Album dunque godibile, che non disdegna tuttavia spiccate accelerazioni verso sonorità cupe e pesanti: le schegge stoner metal di Piranha (dalle tinte quasi thrash) e Speed Of The Nail riescono ad entrare immediatamente sottopelle grazie ad un bel contrasto fra riff aguzzi e cantato melodico-ma-non-troppo. Molto carino anche lintermezzo di Little Champion, trenta secondi di divertissement chitarristico.
Ma psichedelia abbiamo detto, e che psichedelia dunque sia.
Sono in fondo al lavoro i pezzi più interessanti, quelli che denotano in contemporanea una buona capacità di svisare atmosfere allucinogene con un minimo aiuto strumentale (e si intenda perciò anche le sole chitarra-batteria). Pur mantenendo un ritmo ugualmente serrato, con poche indulgenze ad abbacinanti stop percussionistici (sarà forse la cura Ballou?), i Torche danno il meglio di loro stessi prima con Amnesian, maniacale galleria di barcollanti istantanee, sfuocate da un tappeto di lussazioni mescaliniche e di feedback arrotanti, e poi, soprattutto, con la title-track finale, una vera e propria immersione nel doom più folle e orrorifico, quello tanto caro agli Electric Wizard, per dirne una. E questa volta, su tutto cala una cappa di nerissima ossessione.
Ma, ahimè, sovente Meanderthal rimane solo musica da sottofondo, senza poter aspirare a compiti maggiori e nel contempo non strappare qualche annoiato sospiro. La potenza cè, lorecchio anche, ma la personalità pare solo un lontano flash congelato nel tempo a partire da tre anni fa, quando, in nemmeno mezzora, i Nostri avevano tirato fuori un grande disco. Kyuss + Motorpsycho + Electric Wizard rimane formula vincente per chiunque, ma la rielaborazione personale, che tanto si era denotata nellesordio, qui è ridotta ai minimi termini. E dispiace, perché i quattro avrebbero potenzialità da grandissimi numeri: invece, in questo caso, è ormai inutile dire che, se cercate il meglio, qui non lo troverete.
Promossi sì, ma con riserva.
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