V Video

R Recensione

8/10

Torche

Torche

Che i padrini dello stoner rock siano stati i Black Sabbath, questo lo sappiamo tutti.

Che i Kyuss siano stati il gruppo stoner più importante dell’ultima decade – se non di più –, anche questo è risaputo e, per gli scettici, c’è un certo “Blues For The Red Sun” a testimoniarlo.

Ma da qui a dire che il genere è nato e morto con loro, e che oggi non ha più ragione di esistere, questa è un’affermazione tutta da dimostrare.

Basti vedere il proliferare di formazioni, più o meno eclettiche, più o meno competenti che, da un decennio a questa parte, stanno battendo il canovaccio della ritmica granitica e della distorsione effettata: Electric Wizard, Motorpsycho, Monster Magnet, Spirit Caravan, Boris, Fu Manchu, tanto per citare i più famosi, che hanno conquistato proseliti da tutto il mondo con quel sound così roccioso, solido, sporco ed impenetrabile, tanto magnetico su disco quanto roboante nei live.

I Torche, invece, potrebbero essere classificati come una band stoner di ordinaria amministrazione. Quattro ragazzi di Miami, dall’età media relativamente bassa, platealmente svezzati a pane e schitarrate di Josh Homme (a divampare nei padiglioni auricolari, si intende), un particolare feeling per tutto ciò che sia legato, in qualche modo, ad un lontano mondo southern. Un gruppo come tantissimi altri, sembrerebbe, che nasce e cade, morente, nel dimenticatoio, in un lasso di tempo ragionevole per pubblicare uno spiegazzato esordio o, per i più bravi, anche qualcosina in più. Chi ha infatti mai sentito nominare i Torche?

Ciò non toglie, tuttavia, che l’esordio del quartetto, datato 2005, sia davvero bello.

E non è retorica la mia, l’ennesima cronaca di un ragazzo esaltato per un feedback sfrigolante o un riff schiacciasassi. I Torche assomigliano un po’ a quei ragazzi che, a scuola, erano sempre i primi a rispondere alle domande dei professori: i cosiddetti “secchioni”, insomma. Loro, la lezione, l’hanno imparata molto bene, e si sente: ma non è una rilettura automatica, un istruirsi a memoria, un apprendimento asettico. È, più che altro, un’interpretazione: i Kyuss hanno lanciato il guanto, sta a loro raccoglierlo ed imprimerci la propria impronta personale.

L’ostacolo principale dei dischi di stoner rock è sovente dato dall’imponente durata complessiva dei lavori, che li rende ancora più selezionati e particolari: ebbene, i Torche aggirano la questione senza nessuno sforzo apparente. Ci sono dieci canzoni, per un totale di soli ventinove minuti. Dieci pezzi, che sgorgano dal profondo del vulcano ritratto nell’artwork, e zampillano nell’atmosfera, aggressivi ed adrenalinici. Dieci tracce, una dietro l’altra, che erompono prepotenti e squarciano il silenzio tutto attorno.

La band accontenta anche chi dovesse loro contestare un’eccessiva, cumulativa somiglianza stilistica: dentro questo cd c’è di tutto, dallo stoner più puro e grezzo all’hard rock, a ritmi ancora più metallici e martellanti, ad una psichedelia acida e filtrata, a echi di southern rock à la Steppenwolf. Il risultato finale, poi, è ulteriormente mixato con linee vocali pulite e regolari, con una grande rilevanza percussionistica –ci si sente molto il doppio pedale- e con alcune influenze, cupe e ricercate, che possono rimandare ai Tool più agevoli e meno riflessivi (l’opener “Charge Of The Brown Recluse”, la particolare “Fuck Addict”, che sembra un incrocio genetico fra Black Sabbath e Queens Of The Stone Age). Se c’è da alzare i watt delle chitarre, non c’è nessun problema: ecco arrivare “Safe”, una scheggia di un minuto e venti veloce ed assassina, “Vampyro”, con il suo incedere potente e rugginoso, ed “Erase”, splendida cavalcata fra passato southern e presente stoner.

Le tracce migliori del disco sono, in ogni caso, “Mentor” e “Last Word”. Nella prima ci si ritrovano tutte le caratteristiche che ogni nuova rock band dovrebbe possedere, anche in minima parte: grinta, passione, gusto per la linearità e per l’azzardo (vedi il mini-assolo che stupisce e, cosa più importante, piace davvero). La seconda, invece, intricato tunnel lisergico di nove minuti e mezzo, è un pezzo più canonico, un’occasione, oltre che per far viaggiare l’ascoltatore, per mettere in luce i Torche da un punto di vista prettamente tecnico/stilistico.

A margine, una nota di biasimo: il vulcano è perfetto per descrivere il suono della band, ma serviva davvero piazzarci quell’orrendo sfondo dietro? Perplessità artistico/soggettive a parte, mi sento tranquillamente in grado di consigliarlo a tutti voi. Da (ri)scoprire.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.