Quest For Fire
Lights From Paradise
Lavevamo detto: oltre alla distorsione e alle decalcomanie desertiche, nellomonimo esordio di appena un anno fa i Quest For Fire avevano dimostrato altro. Ottima padronanza della materia, senza dubbio: gusto melodico cedevole, anche questo; sognanti divagazioni psichedeliche, e vabbè. Sembrerebbe il solito listino spesa rifilatovi dal commerciante che ha mangiato la foglia del deficiente di turno. Ma, come dire?, Quest For Fire era altresì dominato da una fisicità del tutto personale: lincenso dellhard rock di fine Sixties preso a scazzottate dai decenni successivi e corroborato da una fantasia chitarristica niente male. Come gioire nellarrostire un fiorito pulmino Wolkswagen, possibilmente assieme ai suoi occupanti: metafora discutibile, eppure utile ad entrare nel mood di un disco che faceva della sua riconoscibilità cromatica e delle variazioni integrali ad essa sottesa un interessante tratto distintivo (quanta fatica per specificarlo!).
Ancora sono rimasti impressi nella mente i riff cinematografici della prima prova, che già con Lights From Paradise siamo costretti a spostare lasse delle coordinate. Capitolo cambiamenti: molti, e pure di un certo spessore. Cerchiamo di riassumerne la portata: ci troviamo di fronte ad un gruppo che, ora come ora, potrebbe chiamarsi Quest For (Bon)fire. Otto lunghe canzoni che parlano di un disco partorito sì alla velocità della luce, ma con schemi mentali decisamente virati verso un approccio più estatico (estetico? La variopinta copertina confermerebbe il calembour) e dilatato: una danza tribale musicata attorno ad un falò. Non stiamo chiaramente ragionando di un misticismo alla OM, giusto per scomodare dei pesi massimi: tuttavia è lintera atmosfera ad essere mutata, a tratti sensibilmente. Basta poco per accorgersene. La prima è più importante spia è la generale perdita di aggressività metallica del suono: eccettuata Set Out Alone, dove i Doors si mescolano ai Cream in una soluzione di continuità a dir poco esplosiva, già dalla successiva, concisa Strange Vacation (la forma psych-pop dei Jefferson Airplane coronata da tam tam ed abbarbaglianti riverberi) sintuisce la direzione tantrica ed allucinogena che il quartetto statunitense imprime ai propri brani.
Mi si permetterà, daltro canto, la partigianeria, quando affermo che The Greatest Hits By God è una delle aperture più dimpatto di questo 2010: una vera e propria odissea western, tinteggiata da splendide aperture di violini e chiusa, in coda, da un delicato sfumare acustico. Dopo i passi iniziali ben piantati in terra, insomma, una maggiore maturità musicale permette di svariare creativamente e di giocare con le nuance, senza per questo sporcarsene platealmente le mani. La tentazione dellimmortale ballata unplugged bussa alla porta della splendida Psychic Seasons, scottata da tizzoni blues, per poi farsi nuovamente heavy psichedelia negli spettacolari tornanti di Hinterland Whos Who, vibrante stoner vicinissimo ai Pontiak in Confusions Home sfrangiato da folate zeppeliniane che non riescono, però, a penetrare limpalpabile levità delle linee vocali e dolce, rovente catarsi doom nello svelarsi progressivo di Sessions Of Light.
I migliori presagi hanno trovato conferma: i Quest For Fire sono decisamente class A.
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