Guns N Roses
Chinese Democracy
Adesso fottetevi tutti. Credevate fossi morto. Anzi, lo speravate. O forse speravate fossi impazzito, rincoglionito dai calmanti in qualche clinica per miliardari tossici, a progettare orge in camice bianco con Britney Spears ed Amy Winehouse. Invece sono ancora qui, ancora capace di controllare Mr Brownstone e di dimostrare chi sono: la più grande rockstar vivente.
Vi ho fatto aspettare diciassette anni perché tutti mi rompevano il cazzo: le donne, i produttori, l’etichetta discografica. E soprattutto perché non riuscivo a trovare musicisti all’altezza. Non potevo mica incidere il più grande disco di sempre insieme ad un bassista alcolizzato e ad un chitarrista capace di suonare i soliti quattro giri blues. Se Slash e Duff hanno in tasca quei quattro dollari lo devono a me e a nessun’altro. E adesso che si divertano con quello scoppiato di Scott Weiland, tanto non li caga nessuno.
Il mio nuovo disco è un’ opera rock mastodontica, superiore anche ai due volumi di “Use your Illusion”. Il mio “Chinese Democracy” raggiunge vette di maestosità e grandezza che neanche i migliori Queen hanno mai ottenuto (a proposito, caro Brian May, abbi pazienza ma la tua parte di chitarra su “Catcher in the Rye” l’ho tagliata perché faceva cagare…).
Vi ho dato tutto, non potete criticarmi. Il disco ha un intro spaventoso, oscuro, scritto con Josh Freese dei The Vandals, e il pezzo (“Chinese Democracy”) vi farà dimenticare “Welcome to the Jungle”. La mia voce è più potente che mai, sono Dio che sovrasta partiture elettroniche e muri di chitarra innalzati da quell’ acrobata della sei corde di Buckethead (“Slacker’s Revenge”). Oggi come non mai sono capace di accarezzare i volti delle vostre donne mentre vi prendo a calci nel culo (“Better”, nata dalla collaborazione con Robin Finck dei Nine Inch Nails). Mi sono di nuovo seduto al piano accanto al vecchio Dizzy Reed per darvi la nuova “November Rain” (“Street of Dreams”).
Mi sono anche preso le mie fottute libertà. Perchè io sono Axl Rose e faccio quel cazzo che mi pare. È sempre stato così e sarà sempre così. Allora posso anche prendere le distanze dall’hard rock. Io che ho fatto mangiare polvere e sudore al povero Steven Tyler. Io che ho minacciato di morte quella checca di Vince Neil in diretta TV. Io che non ho firmato il primo contratto discografico perché l’agente della Chrysalis Records non volle camminare nuda sul Sunset Boulevard. Io solo posso concedermi di cantare un pezzo funky con innesti di chitarra flamenco (“If the World”). Tanto il rock è mio. Ve la ricordate “Coma”? Beh, non è niente in confronto a “There was a Time”: arrangiamenti orchestrali, piano (ancora Dizzy Reed, perché solo chi lavora senza rompere i coglioni può far parte della mia band) e due minuti di assolo di Buckethead. Perché ricordate che ”Tutte le cose sono possibili / Io sono inarrestabile” (“Scraped”), io sono uno capace di cavalcare il metal (“Riad ‘n the Bedouins”), per poi prendere il vostro cuore e portarlo via per sempre (“Sorry”, cantata in coppia con il mio amico Sebastian Bach). “Scommetto che pensate/ io stia facendo tutto questo per la mia salute” (“I.R.S”), invece lo sto facendo per voi, perché avete bisogno di me come il rock ha bisogno dei Guns n’ Roses.
In chiusura, vi regalo i miei tre capolavori. Il primo è “Madagascar”: epica, emozionante, con un gran lavoro di Brian Mantia dei Primus alla batteria, una intera orchestra guidata dall’italiano Marco Beltrami e un campionamento della voce di Martin Luther King. C’è chi dice assomigli a “Dream On” degli Aerosmith, secondo me invece è la maturazione di “Civil War” dei miei Guns n’ Roses. Il secondo è “This I Love”: il mio pianoforte e la mia voce sopra tutto e tutti. Il terzo è “Prostitute”, street rock sinfonico nel quale vi racconto tutto di me senza risparmiare nulla, con l’aiuto dell’orchestra e di ben cinque chitarristi (Robin Finck, Buckethead, Paul Tobias, Ron "Bumblefoot" Thal e Richard Fortus).
Certo, detto fra noi, qualcosa si potrebbe ancora migliorare. Il lavoro sulle chitarre, ad esempio. Abbiamo impiegato cinque anni solo per registrare le parti di batteria e non abbiamo notato che il suono delle chitarre è completamente asettico. Perfetto, ma insapore. E tutti quegli assoli, forse si poteva tagliare qualcosa… . Forse abbiamo anche lavorato troppo sulle parti vocali. Quel cazzo di tecnico che filtrava tutto quello che cantavo col Melodyne e diceva “Vedrai Axl, non se ne accorgerà nessuno!”. Il cazzo. Su “If the world” sembro quel frocio dei Judas Priest. Anche tutta questa sovrapproduzione… . Archi, chitarre sovrapposte. Non c’è blues, non c’è anima. E forse non c’è neanche rock. Anche le ballads… “Street of dreams” tanto quanto, ma “Sorry” sembra recuperata da un disco di Ozzy Osbourne degli anni ’80 (a proposito, dove cazzo ho messo il numero di telefono di Zakk Wylde? E perché non se ne è più fatto nulla?).
Non capisco. “There was a time” e “Prostitute” mi piacciono ancora, sembrano uscite da “Use your Illusion”, anche “This I Love” non è male. Ma il resto… “Catcher in the rye” è orribile (chissà se si può recuperare quell’assolo di Brian May), e quando proviamo a suonare metal sembriamo i White Zombie (“Shackler’s revenge”). Quando va bene, perché quando va male sembriamo i Motley Crue dopo una cura di anabolizzanti (“Scraped”).
No no no non va. Tra l’altro sta chitarra di Buckethead è urticante. Appena lo vedo glielo spacco quel cestino che porta in testa. Stronzo fottuto incapace. Più stronzo di Slash. Porca puttana. Dov’è il telefono? Ma quella puttana di una segretaria che fine ha fatto?. A già, si è licenziata. Dice che sono un dittatore. Com’è che mi ha chiamato.? “Violento, volgare, egocentrico e astioso”. Ma vaffanculo. Che torni sul marciapiede dove l’ho raccolta, prima che l’ammazzi di botte.
“Pronto?” – “Sono Rose” – “Certo Axl Rose, quanti fottuti Rose conosci? Ma alla Geffen assumono solo teste di cazzo? Dai, passami il Boss, idiota!” – “Ciao, sono io. Sì sì so tutto, l’album sta vendendo in Giappone ma è stato censurato in Cina” – “Si fottano pure tutti quanti i Cinesi” – “Adesso ascoltami però, c’è un problema” – “Dobbiamo ritirarlo” – “Come cosa, l’album!” – “Certo, “Democracy”, cosa cazzo vuoi ritirare, “Appetite””? – “Devi farlo domani” – “Lo so che avete speso tredici milioni dollari, e non me ne importa un cazzo” – “Fallo assolutamente” – “Non intendo modificarlo, voglio rifarlo” – “Certo, tutto, tengo giusto due idee da “Better” e “There was a time”, il resto lo rifaccio da capo a piedi” – “Certo, in fretta, prometto” – “Ah, e mi raccomando, caccia via tutti a calci nel culo” – “Dal primo all’ultimo” – “Certo anche Dizzy Reed, fanculo lui e le sue tastiere di merda” – “Cosa?” - “Ma come fai a saperlo?” – “Ah, te lo aspettavi...” – “Richiamali tutti, sì” – “Inizia da Slash” – “Quanti ricordi, con Slash” – “Sai che lavoro facevamo, io e Slash, a Los Angeles nel 1985?” – “I tester per sigarette” – “Giuro” – “Ne fumavamo quasi duecento al giorno” – “Poi chiama Duff” – “A proposito, hai notato che non c’è il basso nell’album? Praticamente si sente solo in “Street of Dreams” – “Me ne sono accorto riascoltandolo” – “Non vedo l’ora di buttarlo nel cesso, sto’ disco” – “Ah, chiama anche Stradlin, senza lui non se ne fa niente” – “e Steven Adler” - “Come morto? Ma no, guarda che non è morto, gli abbiamo pure pagato un risarcimento qualche anno fa” – “Va beh, vivo o morto che sia, tu chiamalo lo stesso …”
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