John Zorn
The Painted Bird
Dietro Kandinskij, tra i miei pittori preferiti vè, senza dubbio, Hieronymus Bosch: un genio assoluto, avanti anni luce al suo tempo. Alla domanda perché si potrebbero mostrare, tanto per gradire, oli come questo, o trittici come questaltro. Osservate attentamente il pannello centrale del Giudizio di Vienna: sotto lélite dei beati ribolle la torma dei dannati, vessati nei modi più crudi e realistici che le Fiandre tardo quattrocentesche potessero richiamare. Ai piedi della raffigurazione, accanto ad una spregevole megera seminuda e ad un uomo immerso alla mercé di un terribile drago in un barile ricolmo di un liquido non meglio specificato, sgaiattola una terribile figura duntore, un corvo antropomorfo che si carica sulle spalle (sulle ali?) una gerla ricolma di sciagurati. La destinazione, naturalmente, è lasciata alla fervida fantasia di chi sta dallaltra parte della tela: saranno gli abissi dellinferno, le proprie viscere, il fuoco eterno?
Figlio della stessa estetica barocca, putrescente e carnascialesca (terreno di incontro-scontro di eccessi rituali, di ribaltamenti magici, di specchi ustori), The Painted Bird è un disco così eccessivo, tremebondo e spietato che proseguire nellascolto, a tratti, assume quasi i contorni di unesperienza mistica. Si va delineando, unuscita dopo laltra sono già quattro in poco più di un anno, con la quinta già schedulata per settembre , la natura del tutto peculiare di Simulacrum: che, dopo la deviazione sinfonica (momentanea?) di Inferno, torna a mostrare i muscoli e a proporsi come letale ibrido fra le luciferine scorie metalliche di Moonchild e la disturbante dodecafonia dei primi passi del Nova Express Quartet. Tornando ad occhieggiare la brutale concisione dei movimenti di The True Discoveries Of Witches And Demons, il risultato conclusivo perde qualcosa in scorrevolezza provate voi a scattare sui 100 m con una mannaia perennemente impugnata nella misura in cui acquista in ferocia e potenza.
Ravens è il fulcro dellintero disco: sbucciate le afasie di benvenuto, prende quota un klez-funk orientato su di una head thrash metal di assoluta presa dove le sezioni solistiche di John Medeski e Matt Hollenberg si alternano come filler. Nettles sembra lestratto di una versione haunting library di Alessandroni o Morricone, sporcato ogni tanto da inserti easy listening che si volatilizzano sul posto. Snakeskin è il pezzo più lungo ed elaborato del lotto, costruito grazie allalternanza strategia di plumbee sezioni cromatiche, esotismi surf-klezmer e improvvise rasoiate metalliche (con, addirittura, un accenno groove à la Pantera, attorno a 3:30: robe da pazzi): in meno di sette minuti e mezzo pare di sentire, frullati assieme, Dreamachines, Pellucidar A Dreamers Fantabula, The Crucible e Alhambra Love Songs. I mefitici arabeschi per organetto di Cinders, una Spike che nella pars destruens ricorda da vicino Ecclesiastes (salvo fregiarsi di un intenso inabissamento lounge che avvicina il vibrafono destabilizzante di Kenny Wollesen e il Voudun di Ches Smith), le friggioni ansiolitiche di Plague (Hollenberg si lancia in un assolo da vero guitar hero, fra Death, Megadeth e John Scofield) e la conclusiva Missal che, pur non avendo la statura di una Mirrors Of Being, regala uno spaccato di grande melodia crepuscolare, fissano bene in alto lasticella della resistenza: chi cede, sarà dannato.
E sarà pur vero che allinferno cè buona compagnia, ma a spasso con un corvo non devessere comunque il massimo
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