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R Recensione

7/10

Municipal Waste

Massive Aggressive

La raffinata e, oramai, arzilla Julie Andrews cantava, nel 1964, affiancata da un duo di pesti a metà altezza, che “basta un poco di zucchero e la pillola va giù”. Paradigmatica, come dire. Più adatta, di sicuro, ad un pubblico di giovani anime quale quello di “Mary Poppins”. Pensate, invece, che razza di scandalo si sarebbe imbastito se, giù per il corrimano della grande villa vittoriana dei Banks, avesse intonato un più sboccato “basta un calcio nel culo e la pillola va giù”. Vorrei ben vedere. Che poi, se ci fate caso, rispetta anche la metrica originaria: ba/staun/cal/cio/nel/cu/loela/pil/lo/la/va/giù. Il concetto non cambia molto, se si esclude la menzione della parte anatomica che, in chiave femminea, è la delizia per eccellenza dell’amato Premier. Ma ritorniamo a noi, ut tempus fugiat.  

Difficilmente i Municipal Waste potrebbero sedersi attorno ad un falò a strimpellare fiabe per infanti in fasce. D’altra parte, un gruppo che incide per etichette come la Earache è, notoriamente, devastante, sin dal nome. Anche in questo caso, non siamo di fronte alla pecora nera, all’eccezione che conferma la regola, semplicemente perché non vi sono regole: tutto è già stato infranto, vessato, tartassato appena ventitré anni fa. Davvero serve un didascalico excursus storico? 1986, Los Angeles, Slayer, “Reign In Blood”. Ancora? Dieci canzoni, ventinove minuti totali. Ora: 2009, Richmond, tredici canzoni, ventotto minuti. Difficilmente credo alle coincidenze che, periodicamente, tempestano la quotidianità: men che meno in musica. Se non è gatta che ci cova, la questione si risolve davvero per poco. Il bello, capelloni di tutto lo Stivale, è che “Massive Aggressive”, quarto album studio per il quartetto americano, non è il lavoro più veloce e conciso della loro discografia, che vede trionfare il sempre più solitario esordio “Waste ‘Em All” – fuochino… - del 2003, con una quasi perfetta parità tra brani e minutaggio (16 a 17).  

Più che i Metallica, però, di cui condividono solamente qualche sporadico accenno melodico nella prima frazione di gara (“Masked By Delirium”), sembrerebbe proprio di imbattersi nella perfetta mimesis di Araya e compagni, quando il fervore giovanile di un thrash metal sorto dal fuoco delle più radioattive scorie hardcore di metà ’80 ustionava ancora le sinapsi dei riceventi, non lasciando alcuno spazio a quel manierismo sterile e pedante nel cui sangue coagulato, prosaicamente parlando, sono state forgiate le ultime prove degli assassini. Qui le botte non sono dosate con aria sorniona, ma distribuite a randellate, senza risparmiare lembo di pelle, a metà strada fra l’urgente essenzialità delle schiumanti grattugiate di riff (“Divine Blasphemer”), le sassate ideologiche dell’oi! militante (i cori da mano di scala quaranta in “Mech-Cannibal”) ed i riferimenti, più o meno palesi, ai gods of metal entro il cui pensiero, ne siamo certi, i Municipal Waste avranno peregrinato ben più d’una volta (l’attacco della title-track sembra citare, addirittura, i Death di Chuck Schuldiner).  

Ma, siccome su dischi del genere a citare (minime) differenze tra un pezzo e l’altro si rischia solo di apparire ridicolmente incalliti, ci limiteremo a compiere un’osservazione apparentemente di poco conto, solo compiutamente d’importanza giustamente circoscritta all’opera in questione. Quello che riguarda l’attitudine del gruppo, in primis, che da thrash sta assumendo sempre più gli indefiniti contorni del thrashy. Tradotto in un linguaggio universalmente potabile, ciò che prima era improntato solo ed esclusivamente sullo sfrontato killeraggio delle sei corde (quello, per capirci meglio, qui rappresentato da “Wolves Of Chernobyl” o dai tre minuti della conclusiva “Acid Sentence”, sorta di “Raining Blood” con pugni chiusi e sparati in aria) ora si esprime lungo una sequela di atti maggiormente vari ed apprezzabili, tanto immemorabili per fantasia quanto ammirevoli nel tentativo di ridare sfumature ad una musica alla lunga sfiancante (“Relenteless Threat”, miglior brano del disco), buttandosi sullo street punk figlio dei Casualties (“Media Skeptic”) e rallentando le ritmiche, per dare al tutto un senso da marcia (“Upside Down Church”).

Per quanto ci riguarda, apprezziamo. 

V Voti

Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 3 voti.
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B-B-B 5,5/10
Lelling 5,5/10

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