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R Recensione

6/10

Nevermore

The Obsidian Conspiracy

Le avevano avute tutte contro, i Nevermore. Passi falsi, cali di ispirazione, pessimi missaggi che impedivano alle canzoni di risaltare in tutta la loro aggressività. Una collezione di sfighe ed errori che rischiava seriamente di compromettere la credibilità e la buona reputazione del quartetto heavy metal di Seattle. Poi, il 2005: “This Godless Endeavor” non s’inventava nulla di trascendentale, ma aveva sottotitolato ed insito in calce l’accorato appello give us a chance. Dateci una possibilità, a dispetto di tutto. È straordinario constatare che, col passare progressivo del tempo, il monolite thrash-prog sbozzato nell’eclettismo e negli sweep picking del chitarrista Jeff Loomis non abbia perso un grammo di convinzione o versatilità. Forma metalli saldamente radicata nella propria tradizione che, forse proprio in virtù della sua esperienza, si fletteva in sfumature di mood perfettamente contingenti con i toni malinconici e possenti di Warrel Dane, forgiando – è il caso di dirlo – un piccolo compendio della passione atavica e aggiornata al Nuovo Millennio.

I toni di “The Obsidian Conspiracy” sono più spavaldi, da subito. Cinque anni di gestazione, per iniziare. Le altisonanti dichiarazioni a seguito, per meglio gradire: “Queste canzoni sono piene di rabbia ritrovata, musicalmente e a livello di testi”, sentenziava il leader e cantante. Una scaletta, a ben vedere, meno articolata e progressiva, giocata piuttosto sull’immediatezza e l’incisività del minutaggio: brani più secchi e brevi, snelliti da quelle grigiastre intersezioni che risaltavano, fulgide, nel blocco finale. Due cover sul fondo, di Tea Party e Doors. Meno voglia ed interesse all’approfondimento ed all’innovazione, insomma, ed una tendenza marcata nel riaffermare una sovranità ampiamente combattuta negli anni precedenti, ora a disposizione dei mezzi di un gruppo rinsaldato, fiera spavalda a cui non serve un chissà quale sforzo per dimostrare di meritare quel trono così a lungo agognato.

Finisce, ridotto ai minimi termini, che il disco sia davvero metal in tutto e per tutto. Nell’eccezione migliore, a tratti, come su “She Comes In Colours”, elegante splendore acustico via via sempre più roccioso, sino ad esplodere nel finale saturo di dissonanze, oppure nella title-track – presente anche in una squassante versione strumentale –, sassaiola thrash dove le chitarre sono siluri terra-aria che prendono dritto allo stomaco. Dell’etichetta vengono, tuttavia, assimilate anche tutte le connotazioni negative e parecchi stereotipi della vecchia guardia, difficili da reggere se non strettamente fan della prima ora. Inizia proprio il singolo “The Termination Proclamation”, uno stiletto ribassato con frequenti entrate melodiche ed una sensazione di generale frivolezza complessiva, a dettare molti quesiti che si faranno strada nell’alternarsi di pezzi tirati, ballate e sfoghi metallici generali. Dane sillaba le sue filosofiche diffide contro i sistemi organizzati, ma sovente non è supportato adeguatamente dalla controparte alla sei corde, lanciata in una esibizionistica crociata personale che manca malamente l’integrazione con il tessuto ritmico circostante, emergendo come segmento di accessoria velleità: la formazione neoclassica che spinge per uscire, forse (“Your Poison Throne”).

Non sono, perciò, dei Nevermore al pieno delle loro forze. “The Obsidian Conspiracy” rischia, per molti versi, di accontentare un decimo della possibile cerchia di appassionati, tutto teso, in tono dimesso, a raccogliere il risultato, più che a farlo. Specialmente quando si possiedono numeri del calibro di “Moonrise (Through Mirrors Of Death)”, riffing meshugghiano simile alla vecchia “Born (The Retribution Of Spiritual Sickness)” aperto da un ritornello decadente, o la gelida “And The Maiden Spoke”, persi tra banalità di pura circostanza (“The Day You Built The Wall”, priva di ogni possibile sbocco, o l’anthem da stadio di “Emptiness Unobstructed”). Contrasti evidenti, troppo pronunciati: naturali spinte a chiedersi se il freno a mano sia sensibile, o soltanto tirato più del dovuto.

La storia parla per loro, ma non è una risposta storica quella che avremmo voluto sentire.

 

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 6 voti.
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C Commenti

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Nucifeno (ha votato 3 questo disco) alle 23:37 del 26 agosto 2010 ha scritto:

Orribol

Il disco delusione dell'anno. Volevano ripetere "This Godless Endeavor" e gli è uscita una bella cagata. L'unico pezzo che mi sia veramente piaciuto è "Your Poison Throne", il resto me lo sono già scordato. I grandi gruppi sono sempre più in crisi, purtroppo.

ProgHardHeavy (ha votato 8,5 questo disco) alle 19:30 del 26 settembre 2014 ha scritto:

IO lo trovo molto bello; non all'altezza dei precedenti, ma ha delle ottime canzoni. Dato che amo il gruppo in questione, alzo un pochino il voto, ma a mia opinione sarebbe un 8.