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R Recensione

5/10

Slayer

World Painted Blood

Traditur, si dice. Che “World Painted Blood” sia l’ultima voce in capitolo di una carriera, quella degli Slayer, ormai trentennale e sfavillante, ma negli ultimi anni offuscata dall’implacabile velo manieristico ed auto celebrativo che ha atrofizzato e liofilizzato la distorsione thrash ad inizio anni ’90. Che la storica, fasulla, mediatica rivalità coi Metallica sia destinata a concludersi a loro favore: a Tom Araya, “Death Magnetic”, patetica ed amorfa rinfrescata giovanile su vetusti corpi gravitanti attorno all’idea del Mondo Denaro, davvero non era andato giù (“When I heard the Metallica album, it didn’t appeal to me at all. And all I could think about was, ‘Man, what happened?’”), a tal punto da controbattere con la release di un nuovo brano, “Psychopathy Red”, lontanissimo da una “The Day That Never Comes” anche solo per la concezione stessa dell’impatto metal. Già, nell’elenco delle nugae volgi è necessario aggiungere ciò che si pone come corollario da un decennio a questa parte, ovvero l’imperturbata immutabilità di un suono che, sebbene non abbia bisogno di presentazioni, era divenuto così prevedibile da non poter essere altrettanto efficacemente commentato. D’altro canto, se i quattro assassini di Los Angeles avessero optato per un radicale rinnovamento del proprio stile giusto sul traguardo finale, la critica avrebbe parlato o meno di confusione cerebrale?

Ripartire proprio dall’ultimo singolo, perciò, appare l’unica scorciatoia percorribile per appigliarsi ad un giudizio che non si basi, ancora una volta, sul cursus honorem del gruppo. Tutt’altro che entusiasmanti, i due minuti e mezzo di “Psychopathy Red” apparivano però in tutta la loro straripante urgenza hardcore, cercando di far obliare, goffamente, i preoccupanti ribassi creativi culminati nel precedente, sciatto, inutilmente provocatorio “Christ Illusion”, del 2006. Fregandosene del tempo che passa, della smania dei fan, delle onnipresenti associazioni di censura, “World Painted Blood” è anzitutto un disco senza compromessi. Meno male, verrebbe da dire, riferendoci all’incomprensibile serie di (dis)adattamenti ripresi in considerazione da “God Hates Us All” in poi. Ritroveremo, come al solito, le chitarre lanciate su sghembe traiettorie a velocità supersonica, i latrati raschiati di Araya, uno dei batteristi migliori che il rock abbia mai generato, Dave Lombardo, dietro pelli sempre più consunte e fustigate da profluvi di blast beat. Eppure, sarà il contratto di pensionamento che si avvicina perentoriamente, non manca la voglia di esplorare, pur nelle limitate prospettive di quattro ottimi musicisti sviluppatisi, sfortuna loro, nei background più intransigenti del microclima thrash, soluzioni che si distacchino dal classico schema della grattugiante mannaia a sei corde e un’ugola (“Unit 731”).

Il senso di soffocamento ed impotenza permanente, mai così vivido e reale da almeno un quindicennio, viene restituito e rigettato ottimamente sia dai testi, che dipingono scenari catastrofici senza possibilità di redenzione alcuna (“Disease spreading death / Entire population dies / Dead before you're born / Massive suicide / Vicious game of fear / It's all extermination now / Poison in your veins / Global genocide / Slaughter governs law / The apocalypse begins / Pain becomes the norm / Seeking homicide / Beware the coming storm / That starts illuminating fires / God is laughing hard / Man has gone insane”, direttamente da un’asfissiante title-track), che dalla musica, strutturata non tanto per aggiunta chitarristica quanto, ecco la relativa sorpresa, per strati cromatici più sottili di quelli che ci si sarebbe dovuto attendere (esempio è il meticcio crossover di “Human Strain” e quella cappa di nera tensione che fluisce ancora da una “Jesus Saves” datata 1986). Così, anche le lingue di fuoco che divampano da “Beauty Through Order”, sebbene citino apertamente “Flesh Storm”, sono accese su un chiasmo di accelerazioni stupefacente, ed altrove la velocità prende il volo da subito, come nella carneficina death di “Public Display Of Dismemberment” o nei modellismi solistici, a dire il vero gratuiti, ricavati dallo stampo di “Snuff”, che si butta però via nel finale fracassone.

Non è, consciamente, una pietra miliare, né tantomeno lo sarà in futuro. La scrittura degli Slayer, tuttavia, anche se palesemente sconfitta, ne esce a testa alta perché, frammezzo alle banalità da compendiario per il gerontocomio (“Hate Worldwide”, orribile), si scorgono quei lampi di classe totalmente oscurati nel decennio in trascorrere, sprazzi di finta luce immersi nella fosca opacità della più chirurgica disillusione: “Playing With Dolls”, con il suo tapping pendolare, è la saccarina più velenosa che i quattro ci potessero rifilare dai tempi di “213”, storia di similare follia tumulata tra le macerie di “Divine Intervention”.

Addio, allora: o, piuttosto, arrivederci. Non vi ricorderemo per questo, ma vi ricorderemo così.

V Voti

Voto degli utenti: 4/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Emiliano (ha votato 7 questo disco) alle 17:29 del 11 dicembre 2009 ha scritto:

Ottima rece.Rimane comunque un problema dell' estremismo musicale lo iato che si crea fra qualche oggetto misterioso di dirompente potenza e l'inquadramento dello stesso entro gli angusti confini di una scena (peraltro cristallizzata come quella thrash). Quando da un pugno di band coraggiose si passa alla differente realtà di una scena, con gli annessi mediatici ed economici, come ci si può definire estremi? Inoltre quella che si potrebbe definire "la frontiera dell'estremo" è in continua ridefinizione e quindi come si può pretendere da una band che fa il suo sporco lavoro, ma che suona musica che era all'avanguardia due decenni fa, più di qualche sana lacrimuccia di commozione?

Lux alle 22:57 del 13 dicembre 2009 ha scritto:

Personalmente non mi sentirei di considerare gli Slayer band all'avanguardia nemmeno 20 anni fa...

Emiliano (ha votato 7 questo disco) alle 19:58 del 16 dicembre 2009 ha scritto:

Io 20 anni fa ero all'asilo e non ti so dire quale sarebbe stato l'impatto di un Hell awaits su me ascoltatore adolescente. Comunque è vero, l'avanguardia anche allora era da altre parti, avrei potuto dire "contestualizzabile come al passo coi tempi". Poi sugli Slayer non sarò mai obiettivo, li ho amati troppo durante la pubertà.