Rjd2
The Third Hand
A sette anni dal primo singolo di debutto per la Rawkus e a cinque da quel meraviglioso Dead Ringer che lo ha lanciato, sotto la sigla RjD2 come erede di Dj Shadow, per la straordinaria abilità di ricomporre samples di dischi oscuri e misconosciuti in splendide partiture di hip hop astratto, Ramble John Krohn si riaffaccia alla luce.
In mezzo un paio di dischi di buona fattura ma insufficienti a competere con la grandezza dell’esordio, e un recente cambio di scuderia: dalla Def Jux, label simbolo dell’alternative hip hop (all’attivo le uscite di gente come El-P, Cannibal Ox e Aesop Rock), alla quasi-major Xl, etichetta che ha nel rooster fuoriclasse dell’elettronica contaminata virata indie come Basement Jaxx e Lemon Jelly.
E RjD2, con The Third Hand, sembra avvertire tutto il peso di questo passaggio: disertando quasi completamente campionamenti e beat hip hop e dirigendosi a passo serrato (e anche con una certa dose di coraggio, diciamolo), verso la forma canzone, battezzando con la sua voce gran parte delle tracce del disco e adagiandosi su sonorità levigate e pulite che occhieggiano a certo pop e indie pop inframmezzandole, giusto per salvare la forma, con qualche strumentale dall’ispirazione altalenante e dal groove leggermente più tangibile e ricoprendole qua e là con la lacca profumata della produzione club oriented.
Come se un campione di sci decidesse improvvisamente di darsi alla danza classica: l’effetto è paradossalmente meno disastroso del previsto, il disco si fa ascoltare e non va mai del tutto a picco. Ma, anche se non si sente il fragore del naufragio, è pur vero che non si scorge mai nemmeno il lampo del genio: non lo troviamo nel pop-rock simil anni’70 di Have Mercy e Work It Out, né tantomeno nell’organetto sintetico alla Papa Don’t Preach di The Bad Penny. E possono al massimo sollevare un po’ il morale il folk bonsai beatlesiano di Someday e i ricordi ingialliti del passato che affiorano in Get It e Beyond The Beyond.
Rinunciando ai suoi punti di forza Krohn si ritrova sguarnito e con le armi spuntate ad affrontare un sentiero insidioso e costellato di tranelli come quello del pop, e procede prudente con un disco un po’ scipito, un po’ grigio. Che non fa nulla per farsi ricordare, nel bene e nel male. C’è chi per attuare queste commistioni tra elettronica e pop c’è nato, come i Phoenix e gli Hot Chip e chi ha rivelato un talento inaspettato come l’ex Super ColliderJamie Lidell. Rjd2, per il momento, resta, tristemente, nel guado.
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